Di spioni sotto le mentite spoglie di giornalisti ne conoscevamo con certezza almeno due: uno si chiama Giuliano Ferrara, reo confesso di rapporti professionali occulti con la Cia nelle vesti di informatore a pagamento; l’altro risponde al nome di Renato Farina alias agente Betulla alias Dreyfus, smascherato da indagini e delazioni nel suo ruolo di agente provocatore prezzolato. Da venerdì 5 ottobre sappiamo che il verminaio è molto più esteso.
In un commento il cui titolo dice già tutto (“Lite in famiglia. Ma eravamo noi a orientare il Sismi”) il direttore de il Foglio cerca di placare due collaboratori della testata – Christian Rocca, già corrispondente dagli States, e Massimo Bordin, il radicale di cui il quotidiano ospita una rubrica fissa – che si scambiano colpi di santa ragione e relative querele per una vicenda di oltre dieci anni fa, a cui il Rocca (in combutta con il recidivo direttore Ferrara) ha dato un suo apprezzato contributo: “il Nigergate”, ossia i dossier fasulli predisposti dai nostri 007 all’amatriciana per avvalorare la menzogna delle armi di distruzione di massa irachene e – così – giustificare la guerra di Bush jr. contro Saddam.
Tanto per la memoria, le ipotetiche prove della vendita di uranio allo “Stato Canaglia” mediorientale che una visita africana dell’ambasciatore Usa Joe Wilson bastò per farle derubricare a patacca (con conseguente scatenamento dell’amministrazione Bush contro la consorte del diplomatico: l’agente sotto copertura Valerie Plane, tradita da una deliberata fuga di notizie: che bella gente questi governanti stelle-e-strisce!). Tra l’altro, alla vicenda fu dedicato il film 2010 Fair Game, con Sean Penn e Naomi Watts, in cui i nostri servizi segreti fanno ovviamente la parte dei magliari/peracottari. Difatti il Foglio stroncò subito la pellicola definendola “capziosa e malriuscita”.
Ma ora – per diretta ammissione del Ferrara – veniamo a sapere che il suo sodale Rocca, all’epoca “aveva assunto la guida delle operazioni pro Bush e pro Sismi” contro la campagna di segno contrario condotta da la Repubblica per la penna di Giuseppe d’Avanzo.
Pura guerra per bande, che non si capisce cosa abbia a che fare con l’informazione (per inciso, al Foglio dichiarano che “la notizia gli fa pure un po’ schifo”). E che gente si annidasse (e si annida) nella banda dell’Elefantino lo fa intendere immediatamente la battuta sul rapimento dell’Imam Abu Omar a Milano il 17 febbraio 2003 da parte di Fbi, Cia e forse Sismi, contenuta nello stesso pezzo sui bisticci in famiglia: “mirabile operazione di redition”. Intendendo per “redition” un po’ di torture e sevizie preventive.
Insomma, bravacci manzoniani pronti a tutto per compiacere il don Rodrigo di turno. Perché Ferrara può fare il cinico/disinvolto fin che vuole, ma quanto si coglie in queste vicende umane di spioni a mezzo stampa è un’estrema fragilità psicologica; che si manifesta nel bisogno di sottomettersi al padre-padrone di turno: Togliatti-Craxi-
Invece i Rocca e i Farina preferiscono accoccolarsi tra le braccia di istituzioni protervamente protettive: CL, Sismi, CIA… Ma sempre e solo di tutele quale contropartita dell’asservimento si tratta, tipica di questa genia di arrampicatori sociali a mezzo spintarelle e favori, spintoni e marchettoni. La pubblica informazione a mezzo media poteva restare indenne dall’irruzione di siffatto tipo umano in tutti gli anfratti di una società che non ha più filtri selettivi e criteri valutativi? No di certo.
Anche per questo siamo un Paese a sovranità limitata; campo di battaglia per operazioni spionistiche che trovano manovalanza nelle faune locali. Particolarmente apprezzate se camuffate da giornalisti. Coloro che Beniamino Franklin definiva “i cani da guardia dei cittadini”. Ora cani da riporto di un qualche padrone.