Dal referendum scozzese che chiede l’indipendenza da Londra, alla ripresa degli attentanti dinamitardi in Corsica. Complice la crisi, i paesi europei sono di nuovo alle prese di chi vuole staccarsi dai governi centrali
Dalle Fiandre alla Scozia passando per il Paese basco e la Catalogna, la parola “indipendenza” è tornata a farsi sentire con prepotenza in questa Europa attanagliata dalla crisi. Per rimanere nella Penisola iberica, lo scorso 11 settembre un milione e mezzo di catalani ha sfilato per le strade di Barcellona al grido di secessione e contro il carico fiscale versato a Madrid. Ma i catalani sono in buona compagnia, tant’è che rivendicazioni più o meno antiche si possono riscontrare in diverse parti del Vecchio Continente.
“E’ un fenomeno intimamente connesso con la crisi economica”, spiega al fattoquotidiano.it Andrea Carteny, professore di Storia delle minoranze nazionali dell’Europa alla Sapienza di Roma. “Si cercano solidarietà e sicurezza nell’ambito di riferimenti etnico-culturali. La stessa Catalogna ha una tradizione di autogoverno che simpatizza con l’indipendenza. Ha sempre avuto forte senso di autonomia, gestito da una classe politica pragmatica rappresentata dagli autonomisti di Convergència i Unió”. Ma ora, il presidente della regione Artur Mas non può più far valere la leva economica. Nonostante la regione contribuisca per un quinto del prodotto interno lordo spagnolo, Barcellona è stata costretta a chiedere aiuti al governo centrale per poter ripagare un debito di 40 miliardi di euro. Mas punta pertanto sul ricatto: piano d’aiuti e patto fiscale o secessione. In questo clima anche il Partito socialista catalano, federato al partito socialista nazionale si è unito alla protesta.
La stampa britannica segue con molta attenzione quanto sta avvenendo a Barcellona. Il paragone corre infatti alla Scozia e al referendum promosso dallo Scottish National Party, al governo a Edimburgo, che metterà gli scozzesi davanti alla scelta di separarsi o meno dal Regno Unito. Il primo ministro scozzese, Alex Salmond, sogna una Scozia indipendente membro dell’Unione europea. I nazionalisti hanno due anni di tempo i cittadini dei vantaggi economici e ambientali dell’indipendenza. Sull’ingresso nell’Ue, pesano invece le parole del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso: la Scozia, spiega, non sarebbe ammessa di diritto in quanto ex parte di uno stato membro. Per entrare nell’Unione Edimburgo dovrebbe fare domanda di ammissione e in sede europea conterà anche il voto di Londra.
Altra rivendicazione storica è quella corsa. L’estate nell’Isola è stata caratterizzata da una serie di attentati dinamitardi contro le seconde case di cittadini che venivano dal continente rivendicati da gruppi e organizzazioni che si rifanno nel nome allo storico Fronte di liberazione nazionale corso (Flnc). Gli ultimi in ordine di tempo sono stati gli ordigni esplosi in sette supermercati di Ajaccio e dell’Alta Corsica. Sul fronte politico Corsica Libera, maggiore forza indipendentista, che alle amministrative del 2010 aveva raggiunto il 10 per cento ha subito nelle ultime settimane una scissione, riproponendo le divisioni che caratterizzano il nazionalismo corso. “Il top del nazionalismo corso si è avuto 20 anni fa”, spiega Carteny: “Il fallimento del referendum del 2003 per l’autonomia limitata proposto dall’allora presidente Jacques Chirac ha infine riportato le rivendicazioni a livello locale”.
Nel Belgio, che ospita il cuore politico dell’Europa, le divisioni tra valloni francofoni e fiamminghi hanno tenuto in scacco il regno per oltre 450 giorni, con le forze politiche incapaci di formare un governo. Le continue tensioni, spiega Carteny, dimostrano come le divisioni linguistiche abbiano avuto la meglio sulla “solidarietà cattolica” alla base della nascita dello Stato.
Nell’Europa centro-orientale si possono invece ricordare i casi delle minoranze ungheresi, soprattutto in Romania e Slovacchia. Il sentimento nazionalistico si è fatto sentire quest estate nello scontro politico che ha visto opposti il primo ministro rumeno Victor Ponta e il presidente Traian Basescu passato per le forche caudine del referendum popolare per confermare la destituzione decisa dal Parlamento. Perché il sì fosse valido era necessario raggiungere il quorum del 50 per cento uno dei votanti. Obiettivo non raggiunto. Basescu ha mantenuto la sua carica e il premier Ponta ha accusato tra gli altri il primo ministro magiaro Viktor Orban, reo di aver esortato gli ungheresi di Romania a non andare al voto.
Una zona grigia del Vecchio continente, sottolinea Carteny, è infine rappresentata dai Paesi centro-settentrionali dove si stanno sviluppando movimenti ultra-nazionalisti e populisti che come i Veri Finlandesi fanno richiamo a una sorta di purezza del popolo. Un caso a parte è poi quello italiano, dove a dominare la scena è la Lega Nord, un movimento che non si differenzia per ragioni etnico-linguistiche, ma socio-culturali ed economiche.
di Andrea Pira