Io, alla fine, non ho più partorito alla casa del parto e le cose, a causa della medicalizzazione, sono andate in modo ben diverso e più sofferto di quanto avessi potuto immaginare. Ma questa è un’altra storia. La casa mi è rimasta nel cuore, la gente della casa, le donne e le mamme, che della maternità hanno fatto non solo qualcosa di privato ma un’esperienza condivisa.
L’8 marzo scorso il Comitato nato per difendere la casa del parto aveva indetto una manifestazione davanti all’ospedale Grassi di Ostia, per sollecitare la Asl Roma D e soprattutto la Regione Lazio a sciogliere le criticità in cui versa Acqualuce, una struttura pubblica che per mancanza d’organico non riesce ad operare a pieno regime. In quella occasione non solo ricorreva la giornata internazionale delle donne, ma anche l’anniversario della nascita di Acqualuce, inaugurata l’8marzo del 2009. Io questa volta al presidio non c’ero. Ero in carcere, nella sezione nido di Rebibbia, con altre mamme il cui destino segna il tempo dei tre anni, allo scadere dei quali non si è più mamme.
Al presidio, autorizzato e pacifico, parteciparono molte donne incinte e molte madri appena nate, con i piccoli al loro fianco. Per quella manifestazione, a sei mesi di distanza, sono state notificate nei giorni scorsi quattro denunce agli esponenti del Comitato in difesa di Acqualuce, per violazione dell’articolo 650 del codice penale relativo alla “inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall’autorità”. L’accusa, in sostanza, è di essersi spostati verso l’esterno, nel cortile della Casa del parto, per un incontro con il responsabile del reparto di ostetricia e ginecologia, il dottor Pierluigi Palazzetti.
Non potevo non parlarne, e non solo per l’affetto che mi lega alla Casa, ma perché questa vicenda ha dell’assurdo. Chissà cosa avrebbe potuto fare un manipolo di donne in stato interessante, armate di pance e ciucci, nel cortile dell’ospedale.