Politica

I diciottenni si battezzano con la Costituzione

Brezzo di Bédero. L’avevate mai sentito nominare? Non sapevate nulla di questo minuscolo comune ai confini con la Svizzera in provincia di Varese? Io nemmeno. Fino a ieri. Quando ci sono andato e ho scoperto che con i suoi milleduecento abitanti è uno dei più civili d’Italia. Vengano qui i cercatori di buone prassi. Perché dal 2001 tutti i ragazzi che hanno compiuto i 18 anni (ogni volta una manciata) ricevono in dono dal Comune la Costituzione della Repubblica. Accade alla ripresa dell’anno scolastico. Così è stato ieri mattina.
In un capannone della Pro Loco imbandierato a festa, sindaco, autorità locali e un piccolo popolo in effervescenza hanno celebrato il giorno dei nuovi cittadini. Senza impennate retoriche. Sul tavolo stavano impilati, accanto al nome di ciascun neodiciottenne, una Costituzione esile, elegante, color granata e con la prefazione di Bruno Manfellotto, stampata dall’Università di Pisa, una sottile carta pergamenata con le parole dell’inno nazionale e una bandiera tricolore.

E una grande busta di materiale Avis, perché la Costituzione venga associata all’idea della solidarietà; più una bottiglia di vino dei “Centopassi” (una sola per tutti, ragazzi, niente sprechi) per ricordare che oggi la legge suprema deve servire anche a combattere la mafia. Poi pochi, sobri accenni alla Costituzione: “Consideratelo un vangelo laico”, è stato detto. E l’invito a fare della bandiera ogni bell’uso possibile, compreso il tipico sventolio di gioia dopo una vittoria della nazionale. Il capannone era pieno di giovani e cittadini adulti. Brezzo di Bédero non ha scuole. Ha solo la materna. Elementari e medie sono a Germignaga. Le superiori a Luino. Altre scuole di vario ordine e natura si dispongono nella corona dei paesi accanto, in quello che appare al visitatore come un incantevole e luminoso balcone collettivo sul Lago Maggiore. E un po’ tutto questo mondo si è dato convegno nel capannone.

C’era Emilio Rossi, preside in pensione dello scientifico di Luino, esperto di storia locale. C’era Remo Passera, autista e da ragazzo staffetta partigiana, che queste cose se le coccola con occhi orgogliosi, mai dimentico di quel che i partigiani fecero e subirono da queste parti, specie quelli della banda Lazzarini. C’erano le ragazze dell’educandato di Brissago Valtravaglia, ennesima tessera sconosciuta all’italiano medio di questo mosaico di italianità esemplare. C’era insomma una folla di persone che nutre ogni giorno di passione civile il suo lavoro di confine. Un confine dove l’economia non crolla grazie alla Svizzera ma dove i clan stanno comprando aziende a manetta senza che nessuno trovi il modo di fermarli.

Il battesimo civico dei diciottenni

Persone che danno di questa provincia un’immagine tutta diversa da quella che corre abusivamente per l’Italia. Patria suprema del leghismo e che però il giorno prima del centocinquantesimo anniversario dell’unità era impavesata di tricolori in ogni casa e contrada. Patria della secessione contro il Risorgimento che “ha colonizzato il nord” e che però coltiva il mito di Garibaldi, che qui combatté e a cui proprio a Luino venne innalzata la prima statua, quando ancora era in vita. Riserva delle camicie verdi lombarde e che però dà ai suoi ragazzi Costituzione, inno e fascia tricolore. Già perché l’idea venne in un altro comune ancora di queste parti, quello di Lavena Pontetresa, a una donna sindaco, Donata Minastocchi. Che ieri mattina c’era.

È davanti a questa platea attenta che i nuovi cittadini vengono chiamati uno dopo l’altro sul palco austero e scricchiolante. Mirko Bonfatti Baglioni, Rosario Carrubba, Vincenzo D’Auria, Chiara Leila Fusetti, Edoardo Miele, Federico Pfeifer, Marco Spertini salgono la scaletta con i loro giubbotti verdi e blu, beige e neri, o in camicia, chi studente chi assistente parrucchiera, per ricevere quello che qui viene chiamato con espressione sublime “il battesimo civico”, organizzato con ogni cura da un’altra donna, l’assessore alla Cultura Gabriella Martarello.

Il vicesindaco Daniele Boldrini spiega ai giovani che hanno titolo a chiedere al Comune buoni servizi e che il Comune ha bisogno del loro talento e coraggio. Che il battesimo civico che stanno ricevendo è anche “un appello disperato ai giovani perché si avvicinino alle istituzioni”, deturpate dagli scandali e dall’impossibilità di votare i proprio rappresentanti in parlamento.

La mente corre subito a quel che trionfa ogni mattino sui giornali. Lo spettacolo di civismo e di pulizia che si ha davanti sembra spazzar via l’idea che la politica romana non faccia altro, in fondo, che rispecchiare il paese reale. Guardi il capannone pieno di facce emozionate e vai con la mente all’assemblea del Pd da cui ti giungono i primi sconfortati sms. Vedi questi comuni sconosciuti disegnare le fattezze di un grande paese e pensi che mentre le regioni tritano soldi in libertà, il pubblico spreco sarebbero loro, troppo numerosi. Il sindaco Alfonso Urbani viene a ringraziarmi, la voce gli si rompe quando dice “anch’io sono figlio di carabiniere”. Che Dio protegga i piccoli comuni.

Il Fatto Quotidiano, 7 Ottobre 2012