Sono scesi in piazza in settanta, oggi a Bologna, per salvare il posto di lavoro a 600 giovani apprendisti del Gruppo Intesa Sanpaolo. Che “per ragioni economiche” non meglio specificate, anzi, “visti gli utili sbandierati dall’azienda, sostanzialmente incomprensibili” per i sindacati, da qui ai prossimi mesi saranno lasciati a casa in via definitiva. “Il licenziamento – spiega Walter Polimeno, segretario provinciale della Fiba Cisl – sarà progressivo, il processo è iniziato il 2 ottobre, quando i primi 20 ragazzi, 8 dei quali emiliano romagnoli, sono stati mandati via. E continuerà così in tutta Italia. Più o meno ogni 2 settimane arriveranno le lettere di licenziamento, finché gli apprendisti non saranno stati lasciati a casa tutti”.
“E’ un provvedimento che grida vendetta – attacca Adriano Cosentino, segretario provinciale della Uilca Uil – in un momento di simile crisi e disoccupazione, licenziare i giovani è ignobile. Quei ragazzi hanno lavorato accanto a noi per quattro anni con la promessa di una lettera di assunzione all’orizzonte, invece all’ultimo si sono visti accompagnare alla porta. È inaudito che la Carisbo, dove lavoravano 8 dei ragazzi già licenziati, un’azienda che ha distribuito quest’anno 24 milioni di euro di dividendi attingendo dalle riserve, sia in grado di firmare questa scellerata strategia”.
Perché, almeno secondo i sindacati che oggi hanno portato in piazza striscioni e bandiere, di strategia si tratta. “Tutto è iniziato lo scorso maggio – racconta Anna Raffaini, segretaria Carisbo e delegata della Fisac Cgil – quando la riforma Fornero ha stabilito un allungamento della vita lavorativa che ha bloccato un piano industriale che doveva consentire al Gruppo un sostanzioso risparmio in termini economici. A quel punto, l’azienda ci ha informati che avrebbe dovuto ridurre i costi e finanziare alcuni passaggi, come l’uscita degli esodati”. La collocazione del Fondo per gli esodi, grazie alla riforma delle pensioni approvata dal ministro Elsa Fornero, costerà infatti alla banca circa 120 milioni in più. Così, a giugno, il Gruppo ha comunicato ai sindacati l’apertura di un “procedimento di ristrutturazione”.
Un piano che, però, i rappresentanti dei lavoratori non hanno accettato subito, perché prevede, tra le altre cose, la chiusura di circa 1000 sedi in tutta Italia, e quindi migliaia di esuberi, la riduzione del costo del lavoro, la rimodulazione degli integrativi, l’introduzione di giornate di “solidarietà”, cioè non lavorate, e gli orari di apertura al sabato. In sostanza, quindi, “il taglio completo di tutto ciò che avevamo conquistato attraverso la contrattazione aziendale”.
“Quando non si è trovato un accordo su questo programma abbiamo indetto uno sciopero per il 2 luglio, che ha registrato un’adesione superiore al 70% – spiega la Raffaini – poi la trattativa è ripresa ma di punto in bianco è arrivato il ricatto: il licenziamento dei 600 apprendisti attualmente assunti in tutta Italia”.
Giustificata con quelle stesse parole che il ministro Elsa Fornero, la cui riforma dovrebbe tutelare i giovani, e in particolare gli apprendisti, ha ascoltato pochi giorni fa, quando ha convocato il Ceo di Intesa Sanpaolo, Francesco Micheli, vicino all’attuale ministro Passera, per chiedere conto dei licenziamenti.
Le stesse parole che i primi 20 apprendisti dell’azienda hanno trovato scritte sulle loro lettere di licenziamento, inviate da un gruppo bancario che nell’ultima semestrale vantava “un robusto utile netto”, “risultati positivi” e un posizionamento d’eccellenza “tra i gruppi bancari più solidi a livello internazionale”.
“Ogni anno vengono investiti dall’azienda 230 milioni di euro in consulenze professionali, 76 milioni per lo stipendio dei manager, 300.000 euro di aumento di stipendio per l’amministratore delegato e 800 milioni di euro di dividendi per gli azionisti – elencano i sindacati – chi in Italia può vantare queste cifre al giorno d’oggi? Eppure ora vogliono licenziare i nostri apprendisti, ragazzi che come tanti in questo paese hanno famiglia, bollette da pagare, l’affitto e persino il mutuo. Ideato dalla banca, ironia della sorte, appositamente per loro che, con un contratto simile, altrimenti non avrebbero potuto avervi accesso”.
Un passo falso che, tra l’altro, l’azienda ha mosso in un momento delicato, alla vigilia della riapertura della trattativa sulla vertenza che a luglio aveva portato allo sciopero. Ma su questo punto i sindacati sono categorici. “La trattativa ripartirà solo se l’azienda farà un passo indietro – spiegano le sigle riunite – i nostri colleghi devono essere riassunti e tutti coloro che sono a rischio, confermati. La vita delle persone non è una merce di scambio”.