Considero Atm (Azienda trasporti milanesi) una risorsa preziosa per la nostra città. Una sorta di “bene comune” che appartiene ai cittadini. So che il servizio erogato è superiore rispetto alla media di molte altre città italiane. Per questo vorrei che questa azienda venisse rispettata.
La cosa più brutta del cosiddetto “martedì nero” dei trasporti milanesi sono stati i commenti del giorno dopo. Chi attacca lo strumento dello sciopero nel settore trasporti; chi parla di iella; chi pensa di avere esaurito il proprio compito, chiedendo scusa.
Ci sono stati e ci saranno altri scioperi dei trasporti (il prossimo: 16 novembre), ci sono stati e ci saranno altri incidenti, guasti e intoppi in metropolitana. Ma ciò che è accaduto martedì 2 ottobre non si era mai visto: scene da “assalto ai forni” alle stazioni; gente imbestialita con guidatori e addetti al servizio; responsabili della sicurezza impreparati o introvabili; passeggeri che aprono le porte dei vagoni in mezzo alla galleria e raggiungono la stazione camminando accanto ai cavi elettrici; intervento di Prefetto, polizia e ambulanze…
Forse, accantonando iella e scuse tardive, quanto è accaduto è un segnale che va colto, non rimosso; forse l’insofferenza del cittadino che striscia sotto la serranda in movimento, o decide di aprire da solo le porte del vagone mandando in tilt la rete, sono gesti che nascono da lontano.
Secondo me lo sciopero indetto dai sindacati martedì 2 ottobre scorso non c’entra nulla. O meglio: i disagi che ha causato sono stati l’evento scatenante di qualcos’altro. Qualcosa che nasce nel tempo e si accumula dentro, fino ad esplodere. Qualcosa che ha a che fare, temo, con i continui guasti dei mezzi di trasporto, che ormai non fanno più notizia; con i treni affollati come carri bestiame; con orari di attesa riportati dai display luminosi che sembrano tarati su una dimensione spazio/tempo sconosciuta alla fisica terrestre; con corse di bus che saltano nelle periferie mentre stai andando a prendere il bambino a scuola, o vorresti tornare a casa.
Qualcosa che nasce, temo, da quando è stato aumentato il biglietto Atm senza avere, prima, presentato alla città un Piano della Mobilità (e un conseguente Piano Industriale dell’azienda), con obiettivi precisi e misurabili. Una sorta di patto con la città: “ti chiedo un sacrificio economico e ti chiedo di avere pazienza, in cambio mi impegno a realizzare questi miglioramenti e tu mi giudicherai”.
Niente di tutto questo è avvenuto. E il fatto che il Comune pensi di scaricare sull’Azienda l’indebitamento per l’acquisto dei nuovi treni per la linea M1, non è un segnale incoraggiante per chi ritiene che il potenziamento della mobilità pubblica dovrebbe essere una scelta strategica prioritaria per l’amministrazione comunale.
Quando Ken Livingstone decise di avviare la congestion charge a Londra, prima di attivarla bussò agli istituti di credito ottenendo finanziamenti per potenziare la rete di superficie: 500 nuovi bus bipiano che servono le periferie della Grande Londra fino in centro. I finanziamenti furono concessi avendo come garanzia le entrate derivanti dal sistema della congestion charge.
Perché Milano, se davvero crede nella cura della mobilità sostenibile, non fa altrettanto? Un nuovo Piano Urbano della Mobilità con obiettivi precisi e misurabili, e adeguati finanziamenti garantiti anche dalle entrate di Area C (così sapremo per certo che fine fanno, i proventi del pedaggio).
Questo non risolverà di colpo tutti i problemi. Per mesi e forse per anni ancora dovremo viaggiare su carrozze vecchie e tram obsoleti, pazientando alle fermate; però almeno sarà chiara a tutti la strada intrapresa, gli obiettivi di interesse comune per i quali viene speso il denaro dei cittadini. E una giornata di scioperò tornerà ad essere una normale giornata di sciopero.