Dopi il sì odierno di Spagna, Slovacchia e del nostro Paese l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie è molto più vicina e potrebbe essere applicata già da gennaio 2013. Al momento non si conosce l'uso che l'Unione Europea farà del presunto gettito da 57 miliardi, frutto dell'imposta dello 0,1% sugli scambi di azioni e dello 0,01 per cento sui derivati
La tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe essere introdotta presto all’interno del mercato europeo. È questa, per il momento, la principale notizia proveniente dall’Ecofin di oggi in Lussemburgo. Nel corso del dibattito in sede Ue, il commissario Ue Algirdas Semeta ha annunciato infatti il via libera dei governi di Italia, Spagna e Slovacchia che si aggiunge al sì già espresso da altri 8 governi (Francia, Germania, Austria, Portogallo, Slovenia, Belgio, Grecia ed Estonia). Il totale dei Paesi promotori sale così a quota 11, un numero sufficiente per avviare l’iter di approvazione del provvedimento che, salvo intoppi, potrebbe divenire realtà già a inizio 2013.
La strada ormai tracciata è quella della cosiddetta cooperazione rafforzata, il sistema che, di fatto, consentirebbe all’imposta di essere introdotta in assenza di un impossibile consenso unanime da parte dei Paesi membri. L’ipotesi era già stata avanzata da tempo ma la vera svolta risale alle scorse settimane. Francia e Germania hanno preso l’iniziativa inviando due missive a firma dei loro rispettivi ministri economici Pierre Moscovici e Wolfgang Schauble: la prima lettera, indirizzata a Semeta, annunciava la richiesta di cooperazione rafforzata; la seconda, inviata agli altri 25 ministri finanziari dell’Unione, chiedeva ai governi nazionali di affiancare Parigi e Berlino nell’iniziativa. La prima a rispondere era stata l’Austria, poi, via via, gli altri. Il governo dell’Estonia si è dichiarato favorevole rendendosi disponibile a formalizzare il sì dopo il via libera del parlamento di Bruxelles. La richiesta di cooperazione verrà ora presentata alla Commissione che, a quel punto, dovrebbe quindi rinviarla al Consiglio europeo per un voto a maggioranza.
Quella in favore della Tobin tax (come viene comunemente chiamata, sebbene nel progetto di James Tobin si ipotizzasse di colpire i soli scambi valutari) rappresenta da sempre una battaglia particolarmente aspra in sede europea. La Germania, notoriamente, aveva preso l’iniziativa per prima: Angela Merkel ha sempre sostenuto l’ipotesi della tassazione ottenendo in cambio il consenso sui provvedimenti di fiscal compact dai socialdemocratici del Bundestag (storicamente a favore della Tobin). La Francia si è schierata a fianco della Germania già all’epoca della presidenza Sarkozy, nel settembre 2011. I due Paesi si trovano da tempo ad affrontare la netta opposizione di cinque Paesi: Regno Unito, Malta, Irlanda, Olanda e Svezia. Londra, manco a dirlo, resta la più ferrea oppositrice. Caratterizzata da un settore finanziario senza eguali nell’intera Unione, la Gran Bretagna rischia di far pagare un prezzo molto elevato alle società della City. Nel febbraio di quest’anno, un rapporto di Ernst & Young ha stimato che una Tobin Tax applicata anche alla sola eurozona (escludendo quindi il Regno Unito) costerebbe comunque a Londra circa 22 miliardi di euro.
Quella dell’Italia, ha spiegato oggi l’ambasciatore presso la Ue Ferdinando Nelli Feroci, è stata una decisione “non facile maturata negli ultimi giorni”. Nel corso del super vertice del 28-29 giugno, Monti e Rajoy si erano impuntati minacciando il veto sulla questione se la Germania non avesse offerto adeguate aperture sul fronte delle strategie salva Stati usando la Tobin come mezzo di scambio per lo scudo anti spread. Di lì in avanti, l’Italia aveva mantenuto un profilo basso dichiarandosi possibilista ma senza mai accettare di assumere una posizione definitiva. Una settimana fa, fonti vicine alle istituzioni europee sentite dal Fattoquotidiano.it riferivano che l’Italia, in particolare, avesse ancora l’obiettivo di usare il sì alla tassa come strumento di scambio per ottenere l’agognato meccanismo automatico di contenimento dei differenziali (cosa che l’attuale architettura dello scudo anti spread ancora non contempla). Resta ora da chiedersi se il via libera di oggi possa essere dunque il preludio a una modifica in futuro del sistema Esm.
Attualmente, per altro, resta ancora aperto il problema della destinazione del gettito che, alle condizioni odierne della proposta (0,1% di imposta su scambi di titoli azionari e obbligazioni, 0,01% sui derivati) si collocherebbe attorno a 57 miliardi di euro all’anno. Le stesse fonti europee sostengono che Berlino punterebbe a un trasferimento dei ricavi nel sistema del fondo salva Stati o comunque nei forzieri della Bce. Un’ipotesi che a quel punto non convincerebbe il fronte delle campagne internazionali (tra cui l’italiana Zerozerocinque) che da sempre chiedono di destinare il 50% del gettito alle iniziative di cooperazione internazionale, welfare e contrasto al cambiamento climatico.