Non ci vuole molto sforzo né fantasia per trovare, nel settore di cui mi occupo, i trasporti, esempi quasi quotidiani di comportamenti pubblici dissennati o discutibili.
Questa volta ne presenteremo tre, ma la scelta sarebbe assai più ampia… c’è solo il timore di annoiare i lettori.
Il primo esempio riguarda il finanziamento alle Grandi Opere berlusconiane, fatte proprie dal Pd, ma, devo ammettere, non dal programma di Renzi. Bene, recentemente sono state varate dal governo delle esenzioni fiscali, di non facile interpretazione, per favorirne la realizzazione. Le esenzioni fiscali sono un modo per metterci soldi pubblici facendo finta di non farlo. Ma domenica sul Sole-24Ore è apparso un articolo di Giorgio Santilli di tragicomico, involontario umorismo. Lodando moltissimo questi sconti fiscali, l’articolo sottolineava come questi avrebbero potuto consentire il finanziamento “anche di opere con costi elevati e con scarso traffico”. Ora, visti gli scarsissimi soldi pubblici disponibili e le molte cose necessarie da fare, perché mai al mondo bisognerebbe costruire opere costose ma che servono a poco? Beh, il dubbio che rispondano a interessi diversi da quelli dei viaggiatori naturalmente diventa una certezza…
Un secondo problema riguarda la metropolitana milanese, ma ha validità assolutamente generale. 30 treni, i più vecchi dei 180 in servizio, devono essere cambiati. Ma né l’azienda né il Comune hanno i soldi. Il Comune decide di collocare in borsa (cioè di vendere) un pezzo di Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, per procurarsi quei soldi. E’ una decisione condivisibile, ma le motivazioni fanno rabbrividire: quando man mano bisognerà cambiare gli altri treni, cosa si venderà il Comune? La questione si chiama “ammortamento”: una qualsiasi impresa deve mettere ogni anno da parte i soldi per poter ricomprare i macchinari che si consumano, altrimenti dopo un po’ fallisce. Ma le aziende di trasporto pubblico non lo fanno, tanto sanno che alla fine quando devono comprare nuovi mezzi qualcuno pagherà. E così è sempre successo. In questo modo i veri costi del servizio vengono nascosti all’opinione pubblica. Come d’altronde tutti gli altri costi: nessun milanese sa (come credo nessun romano ecc.), che i sussidi ai trasporti pubblici costano un milione di Euro al giorno. E’ male sussidiare i trasporti pubblici? Certo che no, ma la decisione di mettere i soldi lì invece che in parchi o scuole o pensioni deve essere basata su un’informazione completa e trasparente, altrimenti la democrazia ne soffre.
Da ultimo, la questione più spinosa: gli scioperi nei trasporti pubblici. Il diritto di sciopero è sacro, lo prevede la Costituzione repubblicana. Ma così non va. Nei trasporti pubblici, le aziende guadagnano per ogni giorno di sciopero, perché i ricavi per i biglietti non venduti sono inferiori ai salari non pagati ai dipendenti in sciopero. I danneggiati sono solo i viaggiatori, non i padroni, come nel settore privato.
Per di più i salari dei nuovi assunti sono bassi, è vero, ma quelli medi, e a questi bisogna guardare, sono ben più alti che nel settore privato. Poi le imprese di trasporto pubblico, al contrario di quelle private, non possono fallire, e i dipendenti non vengono praticamente mai licenziati.
Tutte ottime cose per i lavoratori, ma certo si tratta di una situazione molto privilegiata, su cui occorrerebbe un franco dibattito pubblico, soprattutto con i bilanci degli enti locali ridotti all’osso, a cui si unisce il fatto che le categorie a basso reddito che devono andare a lavorare, risultano le uniche seriamente penalizzate da questo tipo di protesta.