“Sono sicuro che verrà il momento, che io probabilmente non vedrò, in cui la verità della mia vicenda giudiziaria sarà ristabilita. Spero che qualcuno si ravvederà e si pentirà del male fatto a me e alle istituzioni”. Sono le prime parole pronunciate dall’ex funzionario dei Sisde Bruno Contrada, pochi minuti dopo la sua scarcerazione notificata dalla polizia penitenziaria per fine pena e anticipata di 3 mesi. Contrada, ora 81 enne, era dal 2008 ai domiciliari per il suo grave stato di salute nel suo appartamento di via Maiorana, a Palermo. Oggi ha finito di scontare una condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa avvenuta nel 2006.
Contrada conversando con i giornalisti nella sua casa ha aggiunto: “Non porterò, tra non molto tempo, nessun segreto nella tomba. Né di Stato né di altro genere”. Inoltre parlando del generale Mario Mori e di altri ufficiali dei carabinieri indagati nell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia, Contrada ha affermato: “Non conosco i particolari dell’inchiesta ma so che si tratta di ufficiali dei carabinieri verso i quali ho nutrito sempre la massima stima e ammirazione, in particolare parlo del generale Mori“.
Nei giorni scorsi l’ex funzionario del Sisde era tornato sulla sua vicenda processuale e aveva affermato: ”Rifarei tutte le cose che ho fatto e non mi pento di nulla”. Una tesi che Bruno Contrada ha sempre ribadito. Tra custodia cautelare preventiva, detenzione in carcere e arresti domiciliari Contrada ha scontato in tutto otto anni di detenzione. E’ stato condannato il 25 febbraio 2006, dopo essere stato assolto dalla corte di appello il 4 maggio 2001. Ha poi usufruito dei benefici di legge che in particolare prevedono un bonus sulla pena da espiare di 45 giorni ogni sei mesi in caso di buona condotta. E’ stato arrestato la prima volta il 24 dicembre 1992 e detenuto in carcere fino al luglio del 1995. Dal maggio 2007 fino al momento della concessione dei domiciliari , cioè il 24 luglio 2008, è stato rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. E sempre nel maggio del 2007 la Cassazione ha reso definitiva la condanna.
A giugno scorso la Cassazione, ancora una volta, aveva detto ‘no’ alla richiesta di revisione del processo. Contrada è diventato investigatore di punta dell’antimafia, a più riprese è stato capo della squadra mobile di Palermo negli anni Settanta, poi dirigente della Criminalpol, capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia e, infine, ‘numero tre‘ del Sisde. E’ stato accusato da ‘pentiti’ di passare informazioni a Cosa nostra e di avere consentito la fuga di pericolosi latitanti, come il boss Totò Riina, ricevendo la ‘copertura’ di non identificati vertici istituzionali. Uno dei primi ad accusarlo fu Gaspare Mutolo, del quale Contrada ricorderà di averlo più volte arrestato e sosterrà che la sua è stata una vendetta. Ma ci sono anche Tommaso Buscetta, Salvatore Cancemi e Giuseppe Marchese.
Tra i colleghi che hanno diffidato di lui, c’era anche – ha ricordato la Suprema Corte – Boris Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo assassinato dalla mafia. E proprio questi presunti favori fatti a Cosa Nostra hanno portato alla condanna di Contrada. Almeno nove le vicende nelle quali l’ex numero due del Sisde ha contribuito a sventare le retate della polizia contro gli appartenenti ai clan e a favorire la latitanza, e la fuga di boss di rilievo come John Gambino.