Il vice ministro Mario Ciaccia, in un piacevole filmato con ottimi disegnini animati, ha presentato su Youtube una sorta di programma strategico per i trasporti merci e lo sviluppo industriale, pieno di cifre impressionanti. Decine di miliardi di investimenti pubblici e fiumi di posti di lavoro.
Lo riassumiamo schematicamente: L’Italia è al centro del Mediterraneo, molti flussi di merci navali si indirizzano in modo crescente ad altri porti o addirittura a quelli del Nord, occorre costruire corridoi ferroviari est-ovest e sud-nord ecc., per favorire lo sbarco e il transito delle merci nel nostro paese, potenziando tutta la catena logistica sulle lunghe distanze.
E’ una tesi ormai molto antica a sostegno delle grandi opere di berlusconiana memoria, per la cui difesa sembra difficile trovare conferme nei fatti.
Innanzitutto le merci che viaggiano in treno non hanno bisogno né di velocità, né di capacità aggiuntiva: le infrastrutture ferroviarie attuali sono fortemente sottoutilizzate, se non per dei problemi in punti specifici (almeno questo dicono i numeri, e l’ing. Moretti a.d. di FS conferma).
Poi la produzione industriale italiana si caratterizza, per nostra fortuna, per essere ad alto valore aggiunto: è difficilissimo mettere sui treni merci di questo tipo, perché il treno ha bisogno dei camion e non viceversa (ha “rotture di carico”), e questo è un grande guaio.
Le infrastrutture ferroviarie sono costosissime, e richiedono finanziamenti pubblici vicini al 100% (i recenti sconti fiscali sono una forma mascherata di sussidio). Questo perché, per le ragioni appena viste, i produttori industriali non ne vogliono sapere di mandarci le loro merci, nonostante le altissime tasse sul trasporto stradale. Poi le infrastrutture non sono tutte uguali: per esempio, il Brennero ha molto traffico sia per strada che per ferrovia, mentre la Torino-Lione è deserta per tutti e due i modi di trasporto. Le previsioni di traffico sulla Napoli-Bari sono totalmente irrealistiche, come su altre opere in programma (basta vedere come è andata sulla Av Milano-Torino…). Ma questi son solo esempi.
Queste opere hanno tempi lunghissimi di costruzione, e occupano molta poca gente per ogni euro pubblico speso. Figuriamoci poi i tempi del loro impatto sull’industria, se pur ci sarà!
E’ invece ottima cosa rinforzare i raccordi porti-ferrovia, oggi carenti, e, dove occorre, creare aree di stoccaggio e smistamento ben raccordate, e sono costi modesti.
Ma il problema vero è impedire che le merci si limitino a transitare: il puro transito ci porta più costi che benefici, dato che il trasporto ferroviario è sussidiato. Come “fermare” i transiti, se la base industriale non è indirizzata a operazioni di “unbundling”, cioè a fare lavorazioni intermedie?
L’idea che fare passare le merci provochi una modifica radicale della struttura produttiva italiana sembra una (potenzialmente costosissima) illusione.
Vi è anche da sottolineare che le origine bancarie del ministro lo inducono probabilmente, insieme a Passera, ad una visione tecnicamente distorta: le banche hanno grandi interessi in opere molto costose e di tempi lunghi, mentre non ne hanno alcuno nel far funzionar bene l’esistente, che serve molto di più e costa molto di meno (anche la gran parte dei costi di trasporto per l’industria riguarda i traffici di breve distanza, che comunque non possono andare in treno).
Non si può non ricordare la frase laudativa di Giorgio Santilli recentemente apparsa sul Sole24 ore, che le politiche di sconti fiscali del vice ministro Ciaccia servirebbero anche per realizzare opere “molto costose e con poco traffico”. Umorismo involontario.
Né si può ignorare che la Francia, che ha speso moltissimo per le ferrovie, ha visto crollare il trasporto meri ferroviario, indipendentemente dalla crisi, del 30%.
Infine, è noto che il trasporto marittimo è molto meno costoso di quello terrestre. Ma se è così, perché una nave proveniente da Suez con un carico diretto al centro Europa dovrebbe mai utilizzare un porto del Sud, aumentando cosi la tratta terrestre del carico? Nel programma di Ciaccia, i porti e le linee di trasporto merci per il Sud sembrano avere un grandissimo ruolo. Socialmente è una visione comprensibile, ma i rischi di nuove cattedrali nel deserto sono altissimi.
E non certo di questo ha bisogno oggi l’economia italiana. Le cose da fare sono altre, tantissime, e meno costose per le casse pubbliche.