Toccateci tutto, ma non la pizza. Si può scherzare (ma poco) sul mare, sulla monnezza e forse anche su San Gennaro, ma quando si tratta del piatto partenopeo per eccellenza, l’orgoglio – specie se ferito – non può proprio tacere. E così la decisione del Gambero Rosso di non inserire nemmeno una pizzeria napoletana nell’elenco delle migliori d’Italia (con l’unica eccezione regionale di quella di Franco Pepe a Caiazzo, ndr) ha fatto infuriare esercenti e cittadini napoletani, spingendo qualcuno a gridare, addirittura, al complotto “politico”. Napoli e la Campania penalizzati in nome di un non meglio precisato razzismo culinario, a tutto vantaggio dei locali del Nordest? Un’ipotesi improbabile, anche se i ristoratori che giovedì 11 hanno manifestato il loro dissenso presso la pizzeria di Antonio e Gigi Sorbillo, in via dei Tribunali lamentano soprattutto le difficoltà che potrebbe incontrare il settore, se non più spalleggiato da “istituzioni” autorevoli e seguite come il popolare Gambero.

Che poi a bocciare la pizza napoletana la guida ci abbia guadagnato in termini di pubblicità indiretta è fuori di dubbio. E a questo proposito, che la notizia sia filtrata – via Ansa – proprio nei giorni precedenti la pubblicazione dell’edizione 2013 non stupisce proprio nessuno. Parlare di complotto razzista è un’esagerazione, ma lo sviluppo forse più divertente dell’intera vicenda lo offre, paradossalmente, proprio una questione di campanile. A Caiazzo, provincia di Caserta, una sessantina scarsa di km dal capoluogo, non intendono certo scagliarsi contro il Gambero Rosso, che li ha inclusi nella top list e scrivono che i pizzaioli napoletani “hanno poco da protestare, perché non è solo la qualità che fa il risultato, anche altri elementi come cortesia e ambiente tranquillo che solo una piccola cittadina come Caiazzo può offrire contribuiscono a fare la somma”. Insomma, come dire: cari napoletani, fatevene una ragione, qui l’allievo – Gambero o non Gambero – ha superato i maestri, non c’è complotto che tenga. 

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