Ma da quindici anni almeno la produttività ha un andamento molto deludente. Nello stesso periodo le remunerazioni sono cresciute più della produttività, anche se i salari netti sono cresciuti meno rispetto ad altri Paesi. Il risultato è che il costo del lavoro per unità di prodotto è cresciuto molto più in Italia rispetto alla Germania ma anche rispetto ad altri paesi europei. Un CLUP che aumenta troppo significa una perdita di competitività e minori esportazioni.
Il male da curare quindi è la bassa produttività. Il numero di ore lavorate pro-capite in Italia è piuttosto alto. In Germania si lavorano meno ore che in Italia, ma la produttività del lavoro è molto più alta. Questo perché i lavoratori tedeschi sono più qualificati e usano tecnologie più moderne delle nostre. Conta più la qualità che il numero delle ore lavorate.
Nel Rapporto Istat 2012, la crescita della produttività del lavoro viene decomposta in due componenti: quella legata all’aumento del capitale per addetto, e quella dovuta alla “produttività totale dei fattori”. Quest’ultima incorpora gli effetti dello sviluppo tecnologico e organizzativo. L’accumulazione del capitale per addetto viene suddivisa a sua volta tra capitale fisico (ICT, e non) e capitale intangibile (uso di software, spese Ricerca e sviluppo). Negli anni pre-crisi 1995-2007, la produttività del lavoro è cresciuta molto meno in Italia (0,44% medio annuo) che in Europa (2,2%). Questo è dovuto al fatto che il capitale fisico spiega interamente la (debolissima) crescita italiana, mentre le nuove tecnologie, legate al capitale intangibile (software e R&S) contribuiscono per una parte trascurabile (l’8% del misero 0,4% annuo), a differenza di quanto avvenuto in Europa. Molto preoccupante è il fatto che la Produttività totale dei fattori contribuisca in Italia in modo negativo alla crescita della produttività, solo in Spagna avviene lo stesso. In Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Gran Bretagna, contribuisce in maniera positiva e preponderante.
Perché la produttività in Italia non cresce o cresce poco? Le ragioni sono molteplici. Alcune sono di contesto: scarsa efficienza della Pubblica amministrazione, poca concorrenza nei servizi, infrastrutture inadeguate, trasporti congestionati e sistema di formazione che non fornisce capacità adatte alle nuove tecnologie. Altri dipendono dall’organizzazione del lavoro. Le imprese italiane sono molto piccole se confrontate con quelle tedesche o di altri paesi. La piccola dimensione si traduce in minore capacità di impiego di tecnologia, minor uso di lavoro qualificato e minore innovazione tecnologica e organizzativa. In tutti i settori la dimensione delle aziende italiane è molto ridotta: servizi, industria, agricoltura. La piccola dimensione è quindi un nodo importante da affrontare per far crescere la produttività.
Servono più lavoratori laureati e tecnici qualificati per essere più produttivi con le ICT ma la frammentazione dimensionale è un ostacolo al loro impiego. Secondo elemento importante è l’eccessiva tassazione del lavoro. Nel 2010 l’aliquota fiscale implicita sul lavoro, ossia la somma delle imposte dirette ed indirette e dei contributi sociali che gravano sul reddito da lavoro dipendente espressa in percentuale della retribuzione complessiva dei lavoratori subordinati, era pari, in Italia, al 42,6%, il valore più elevato della zona euro, superando di 6 punti percentuali e mezzo la media dell’Ue (ponderata in rapporto al Pil). Quest’evoluzione è in controtendenza rispetto alla maggior parte degli Stati membri, che hanno registrato una riduzione dell’imposizione fiscale sul lavoro. Sempre nel 2010, l’aliquota fiscale implicita sui consumi in Italia era invece pari al 16,8%, un dato sensibilmente inferiore al 19,2% della media della zona euro.
In Italia, gli aumenti salari concessi dalle imprese, magari per favorire la produttività, sono bruciati in parte rilevate dalle tasse. Si deve, inoltre, consentire, in questa fase, alle imprese di fare sperimentazioni, di cambiare l’organizzazione del lavoro, di introdurre nuove tecnologie, di premiare i dipendenti in base ai risultati raggiunti. É cruciale quindi accrescere al massimo il decentramento della contrattazione. Su questo tema però il sindacato è diviso. L’accordo del 2009 prevedeva un trattamento fiscale favorevole agli aumenti salariali legati alla produttività stabiliti a livello aziendale. Ma quell’accordo non è riuscito a disciplinare la rappresentanza sindacale. L’accordo del giugno 2011 tra le parti sociali stabilisce tali regole e rafforza ulteriormente il ricorso ai contratti di livello aziendale. É importante puntare sul decentramento della contrattazione.
Il Fatto Quotidiano, 12 Ottobre 2012