Le donne arabe si mobilitano sul web. Una nuova campagna è cominciata nei giorni scorsi grazie al gruppo “La rivolta delle donne nel mondo arabo” (Uprising of women in the arab world) fondato da quattro donne: Haidar e Younes dal Libano, Sally dall’Egitto e Farah dalla Palestina. Il loro motto è: insieme per le donne libere, indipendenti e senza paura nel mondo arabo. Il gruppo ha invitato, pochi giorni fa, donne e uomini di tutto il mondo a caricare su Facebook e Twitter una propria fotografia con un foglio dove scrivere “Io sono con la rivolta delle donne del mondo arabo perché…” e le ragioni del perché supportano la causa.
L’iniziativa sta facendo il giro del mondo. Stanno arrivando messaggi da diversi Paesi arabi, ma anche da Spagna, Italia, Brasile, Svezia e Stati Uniti. Hana’a originaria dello Yemen ma residente in Svezia, scrive: “Io sono con la rivolta delle donne arabe perché quando cerco di comportarmi come un essere umano vengo accusata di imitare gli uomini”. Mariya dalla Syria, invece, “perché è tempo che ci sia anche da noi una donna premier”. Thomas dalla Germania, dice: aderisco alla campagna “perché come insegnante di studi orientali, sono stufo di sentire lo stesso vecchio arrogante, dominante e a volte discriminatorio discorso occidentale sul posto della donna nell’Islam”. Anche Mohammad dall’Oman ha mandato la sua foto con un cartello dove si legge: “L’oppressione sociale, religiosa e sessuale che subisco è diretta alla parte femminile che è in me”. Il messaggio di Assil, dalla Palestina, è commovente: “Sono con la rivolta delle donne nel mondo arabo perché non è giusto che io debba stare intrappolata in casa per tre mesi per dimostare che il bambino nel mio utero è di mio marito che è morto”.
La pagina Facebook del gruppo, aperta un anno fa, ha oltre 35mila “mi piace”. L’iniziativa – come spiegano le organizzatrici – è stata avviata perché le rivoluzioni arabe non hanno fatto tutto quello che ci si aspettava per le donne. Anzi, la situazione per certi versi è anche peggiorata. Basta pensare all’Egitto, dove i salafiti, che insieme ai Fratelli Musulmani costituiscono la maggioranza dell’Assemblea costituente, hanno intenzione di introdurre norme come la depenalizzazione delle mutilazioni genitali femminili, la non perseguibilità delle molestie sessuali e l’abolizione dell’età minima di 18 anni per il matrimonio. Oppure alla Tunisia, dove la polizia religiosa punisce le donne che non si comportano secondo l’ordine morale islamico, non soltanto frustandole ma anche violentandole.
La campagna ha l’obiettivo di mettere in luce i diversi tipi di discriminazione sessuale contro le donne del mondo arabo e riaprire il dibattito sui social media. Il gruppo spera di creare le basi per un movimento diffuso, una nuova primavera araba in cui anche la donna conti qualcosa.