Spending review, tagli orizzontali, trascuratezza degli enti pubblici: il disastro-Italia non risparmia nulla, neppure le poche eccellenze rimaste. Come il Crab, lo sportello piemontese per l’agricoltura biologica. Che, nell’indifferenza generale, rischia di chiudere. Poco importa se, pur costando 280mila euro all’anno, ne genera da solo oltre mezzo milione, attraverso l’assistenza diretta alle aziende agricole, o attività che spaziano dal monitoraggio dei suoli agli studi per limitare lo spreco di acqua, fino alla lotta biologica contro i parassiti. I progetti di questo centro, spesso sviluppati con la collaborazione di università italiane ed estere, sono frutto del lavoro dei suoi ricercatori.
“Noi non sperperiamo il denaro pubblico, produciamo sostenibilità ambientale – fanno presente -. Eppure ci vogliono chiudere”. Nato da una costola della Provincia di Torino, il Centro di Riferimento per l’Agricoltura Biologica è oggi un ente autonomo, sostenuto anche dalla Regione Piemonte e dalla Camera di Commercio. Missione: diffondere le filiere bio, convertendo al biologico l’agricoltura italiana. Forniscono know-how, distribuiscono semi, assistono gli “agricoltori-custodi” con formazione sul campo e tutoring, e creano reti di eccellenza. Come quella dei quasi 200 neo-produttori di Antichi Mais Piemontesi da Polenta, capaci di salvare specie locali in via di estinzione e sviluppare una filiera a km-zero di agricoltori, trasformatori e distributori in grado di rilanciarle con successo sul mercato, alla faccia della globalizzazione e del fantasma degli Ogm. Crab, infatti, non significa solo ambiente ed occupazione, ma anche conservazione: “Molte biodiversità che sarebbero andate perse irrimediabilmente sono ora tutelate, coltivate e ricercate dagli agricoltori e dai consumatori più attenti”, sottolineano i ricercatori in un appello rivolto a Provincia e Regione: “Sono circa 40 le antiche varietà di cereali ed ortaggi tipici del territorio piemontese che il Crab ha recuperato e sta ora mantenendo in purezza per la fornitura di seme agli agricoltori”.
Il settore del biologico, in Italia, è uno dei pochi a non risentire della lacerante crisi in corso. Non è un caso se, in questi anni, si è assistito alla proliferazione di fiere enogastronomiche in tutto il Paese, spesso promosse da politici o enti pubblici in cerca di consenso. O se, come dimostrato al recente Sana di Bologna, il comparto bio ha un giro di affari da 3 miliardi di euro all’anno, capace di impiegare quasi 50mila operatori. Ciononostante, i giovani ricercatori del Crab rischiano di restare a casa. Colpa dei tagli indiscriminati imposti dal governo Monti, ma anche di una miopia che, nonostante l’ossessione odierna per il rilancio economico, rischia di fare perdere all’Italia una ghiotta opportunità: valorizzare le produzioni biologiche, di cui il Belpaese è leader europeo. Provincia e Regione, dal canto loro, stanno facendo il possibile per trovare una soluzione. “Consideriamo la creazione del Crab e il lavoro fatto in questi anni sull’agricoltura biologica molto positivamente, sia in termini di ricerca e sperimentazione che di divulgazione”, afferma l’Assessore all’Agricoltura della Provincia di Torino Marco Balagna. “Ci sono però delle difficoltà legate al venire meno di importanti risorse economiche – puntualizza – che permettano al Crab di proseguire con serenità la propria attività”. Inoltre “in questi giorni Regione Piemonte, Camera di Commercio e Provincia di Torino stanno valutando le strade da percorrere – aggiunge Balagna -, inclusa la ricerca di altri soci, che di questi tempi potranno essere solo privati, o la possibilità di accorpare realtà che si occupano di cose analoghe. Ma la preoccupazione c’è ed è forte, perché temiamo una situazione debitoria problematica”.
“Noi sosteniamo e produciamo servizi per le piccole aziende agricole che sopravvivono nelle zone marginali di montagna”, spiega Massimo Pinna, direttore del Centro della val Pellice: “Siamo a disposizione degli agricoltori- custodi di biodiversità, dei giovani che vogliono lavorare la terra, e dialogare con i consumatori in filiere corte e a prezzi equi per tutti”. C’è però un problema, ricorda Pinna: “Questi soggetti non hanno voce e non interessano a chi amministra le risorse pubbliche”, forse perché “la sostenibilità ambientale non è politicamente interessante”. “Io capisco gli appelli fatti dai ragazzi del Crab – ribatte Balagna – ma chiedo anche la comprensione per quegli enti locali che, davanti ad una situazione critica, devono fare valutazioni complessive non semplici”. Una situazione che riguarda il Crab come tutte le altre società partecipate che si occupano di ricerca in agricoltura. “Il problema è che noi siamo i più piccoli”, fa presente Massimo Pinna: “Per questo stiamo già rimanendo soffocati”.