Due ore di domande e risposte nel carcere milanese di Opera. Tanto è durato l’interrogatorio di Ambrogio Crespi, fratello dell’ex sondaggista di Silvio Berlusconi, arrestato tre giorni fa nell’ambito di un’inchiesta sui rapporti tra la ‘ndrangheta lombarda e la politica. In particolare Crespi è accusato, da un lato di aver recuperato voti a favore dell’ex assessore Domenico Zambetti (anche lui arrestato) e di averlo fatto su ordine dei boss. Dall’altro il gip nelle oltre 500 pagine di ordinanza cautelare gli contesta anche il concorso esterno in associazione mafiosa.
Eppure davanti a tali accuse, ieri, Ambrogio Crespi ha dato risposte convincenti alle molte domande del pubblico ministero Giuseppe D’Amico. Sul tavolo c’erano le parole del pentito Luigi Cicalese che lo legano a un boss importante come Pepè Onorato. “Mai conosciuto”, è stata la risposta. Smentita anche l’amicizia, emersa dalle intercettazioni, con Renato Vallanzasca. “Crespi – dice l’avvocato Marcello Elia – non è mai andato a cena con Vallanzasca. Solo lo ha visto un paio di volta all’epoca del film autobiografico di Michele Placido”. In quel caso Crespi ebbe contatti con la moglie che, pure, intervistò per il giornale online il clandestinoweb.
Eppure le carte dell’indagine squadernano molti rapporti con ambienti della criminalità organizzata. Uno su tutti: Massimo Onorato, figlio di don Pepè. Crespi conferma. “Fu una conoscenza maturata nell’ambito della vita notturna”. Ma mai fatto affari o altro. Nessun riferimento, invece, all’inchiesta del 2002 sull0omicidio di un camerunense. Indagine che coinvolse Crespi ma che poi fu archiviata dallo stesso pubblico ministero.
Quindi il vero scoglio: quei 2.500 voti che, secondo l’accusa, Ambrogio Crespi ha recuperato per l’assessore Zambetti, il quale, sempre ieri, davanti ai magistrati si è avvalso della facoltà di non rispondere.
“Crespi – prosegue il suo avvocato – non ha mai conosciuto Zambetti”. Dopodiché il legale ricorda il flop elettorale del 2006, quando, assieme a Bobo Craxi, si candidò per il comune di Milano. In quella tornata Crespi incassò poco più di mille preferenze. “E questo – dice Elia – facendo campagna elettorale vera e con il traino di Craxi”. Ecco allora il punto che sembra aver fatto breccia nell’accusa: alla luce del risultato di quelle elezioni non si capisce come, nel 2010, Crespi abbia potuto raccogliere oltre il doppio, senza far campagna politica.
“Tanto più – aggiunge il legale – che in quel periodo il mio assistito non era nemmeno a Milano”. Secondo quanto ricostruito dalla difesa, infatti, Crespi lasciò il capoluogo lombardo nel 2007. Nel 2009 si trasferì definitivamente a Roma. E soprattutto nei primi mesi del 2010 “era nella Capitale impegnato in molte attività con diversi politici e ministri”. Per dimostrarlo sarà depositata agli atti la sua agenda di lavoro.
Insomma, la posizione di uno dei protagonisti dello scambio elettorale politico-mafioso, ieri è uscita di molto ridimensionata. Ora l’obiettivo dell’accusa è quello di leggere attentamente le carte sequestrata a Zambetti per capire se effettivamente, come detto da Crespi, questi rapporti non siano mai esistiti.
Ma c’è di più: un’apparente incongruenza nei capi d’imputazione dell’ordinanza firmata dal gip Alessandro Santangelo. “Al capo 4 – spiega Elia – viene contestato lo scambio di voto, ma si spiega che sussistendo indizi ancorché non gravi non si richiede la misura cautelare. Dopodiché al capo 10 per sostenere l’accusa di concorso esterno si fa riferimento al capo 4”. Qualcosa non torna. “Anche per questo – conclude l’avvocato – siamo molto fiduciosi”.