Le fonti sono attendibilissime (Associated press e Bbc) e la notizia è di quelle che assumono una portata storica: Edimburgo e Londra avrebbero raggiunto un accordo sul referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, da tenere nell’autunno 2014. E i tempi dell’annuncio sembrano strettissimi: già domani, infatti, David Cameron (primo ministro britannico) e Alex Salmond (primo ministro scozzese) dovrebbero approvare l’accordo.
I rumors che hanno seguito una riunione ad altissimi livelli tra sherpa scozzesi e britannici sono stati confermati da Michael Moore, segretario di Stato per la Scozia, alla Bbc. Le regole verranno fissate a Edimburgo e la domanda da porre ai cinque milioni di scozzesi sarebbe la più semplice possibile: sì o no all’indipendenza della Scozia dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord?
La lenta marcia scozzese verso l’indipendenza, o quantomeno verso una decisione finale sulla questione, pare essere arrivata al traguardo. E gli esiti della consultazione saranno fondamentali per il futuro non solo della Gran Bretagna ma dell’Europa intera. Non ne fa mistero lo stesso Moore, che definisce il referendum “la più importante decisione politica in Gran Bretagna negli ultimi trecento anni”. E proprio poco più di trecento anni fa, precisamente nel 1707, Inghilterra e Scozia erano state unite sotto la stessa Corona, per formare quel Regno Unito che oggi potrebbe concludere la sua plurisecolare (e gloriosa) esistenza.
Da non sottovalutare, poi, le ricadute su altre questioni simili in Europa, a cominciare da quella Catalogna che proprio nelle ultime settimane ha voluto accelerare un percorso simile di autodeterminazione. E le lotte indipendentiste più problematiche, che hanno insanguinato il Vecchio Continente negli ultimi decenni? Cosa succederà in Irlanda del Nord e nei Paesi Baschi, nervi scoperti di un secessionismo violento che, nonostante la rinuncia alla lotta armata di Ira ed Eta, potrebbe riemergere dal passato?
I britannici sembrano non preoccuparsi di un eventuale effetto domino e, anzi, aprono alle regole chieste dalla Scozia, a cominciare dal diritto di voto da garantire ai maggiori di 16 anni (e non di 18). Evidentemente il governo scozzese confida nelle posizioni naturalmente radicali delle fasce giovani di popolazione, magari per controbilanciare il desiderio di conservazione dello status quo che alberga tra i cittadini più anziani.
Se domani arriverà davvero l’incontro risolutivo tra Cameron e Salmond, la palla passerà a una lunga e complicata campagna elettorale che durerà due anni e si concluderà solo con la decisione, storica qualunque essa sia, del popolo scozzese.
L’epilogo delle trattative segnano senza alcun dubbio un punto a favore della Scozia, con David Cameron che ha dovuto cedere pressoché su tutte le questioni sul tavolo. La resa impotente del governo di Sua Maestà apre la strada al dubbio che maggiormente serpeggia negli ambienti politici britannici in queste ore: Londra è convinta di prevalere nelle urne o è diventata troppo debole?