Questa specie di corallo, che è un lontanissimo parente dei coralli tropicali che formano atolli e barriere, è tipica di acque temperate e fredde e si trova anche a notevoli profondità perché non ha bisogno di luce per vivere. In comune con i coralli tropicali ha il fatto di essere organizzato in colonie. Ognuno di quegli alberelli vermigli che vediamo impiantati lungo le pareti rocciose dei fondali e delle grotte subacquee non è un singolo organismo, ma un insieme costituito da tanti piccoli polipi.
Questa è una caratteristica importante non solo come curiosità zoologica, ma anche sotto il profilo della conservazione, perché rende più facile lo sfruttamento sostenibile mediante il prelievo selettivo di porzioni di colonia, che poi ricresce. Questo in teoria. Nella pratica, in barba al suo stato di specie marina il cui prelievo è strettamente regolamentato, la preziosità e il conseguente altissimo valore commerciale del corallo rosso lo ha drasticamente rarefatto in Mediterraneo lungo tutta la fascia superiore del suo habitat, cioè dove può essere raggiunto da chiunque si immerga con le bombole.
A profondità maggiori il corallo veniva un tempo raccolto con il cosiddetto “ingegno”, un aggeggio a forma di croce appesantito da sassi e dotato di reti di canapa; strascicato sul fondo, strappava tutto quello che vi s’impigliava, corallo compreso. Questa devastazione dei fondali è oggi proibita per lo meno lungo le coste europee, dove il corallo può essere prelevato solo da subacquei professionisti. Esplorazioni compiute recentemente dal Centro Carabinieri Subacquei di Genova nelle acque circostanti l’Area Marina Protetta di Bergeggi (provincia di Savona), e in particolare su una secca nota con il nome un po’ sinistro de “I Maledetti”, ne hanno rivelato la presenza cospicua, anche se non ancora di taglia commercialmente sfruttabile. I rilevamenti sono stati effettuati non mediante osservazioni dirette da parte di persone immerse, ma calando nella zona un robot subacqueo filoguidato, battezzato Pluto da Guido Gay, l’ingegnere che lo ha progettato.
Le immagini ci danno un’idea di quello che potrebbe essere gran parte dei fondali delle nostre coste a quella profondità: una scogliera costellata di rametti di organismi di varie specie, tra cui il prezioso corallo rosso, in timido recupero dopo decenni di abuso. Ma anche una scogliera che è avviluppata nelle maglie di una grande rete da pesca abbandonata da decenni, le cui trame sintetiche probabilmente rimarranno in loco più a lungo delle meravigliose concrezioni di coralligeno che la punteggiano, a testimoniare la nostra pervasiva capacità di imbruttire il pianeta, anche dove occhio non vede.