Con la sentenza della Corte di cassazione del 1° ottobre, si è chiuso un altro capitolo della ritorsione giudiziaria contro i protagonisti della dimenticata “primavera” del Bahrain.
Il giorno dopo, in esecuzione della sentenza, sei operatori sanitari – ‘Ali ‘Esa Mansoor al-‘Ekri, Ebrahim ‘Abdullah Ebrahim, Ghassan Ahmed ‘Ali Dhaif, Sa’eed Mothaher Habib Al Samahiji, Mahmood Asghar ‘Abdulwahab e Dhia Ibrahim Damastani – sono entrati in carcere per scontare la loro pena. Come pericolosi criminali, sono stati arrestati durante raid notturni nelle loro abitazioni. Dhia Ibrahim Damastani è ora nel carcere femminile di ‘Issa Town, gli altri cinque suoi colleghi in quello di Al-Jaw. Ieri è iniziato il loro sciopero della fame.
La Corte di cassazione ha confermato alcune riduzioni di pena disposte a giugno durante il processo d’appello. ‘Ali ‘Esa Mansoor al-‘Ekri dovrà trascorrere in prigione cinque anni, Ebrahim ‘Abdullah Ebrahim tre, Ghassan Ahmed ‘Ali Dhaif e Sa’eed Mothaher Habib Al Samahiji uno; Mahmood Asghar ‘Abdulwahab sei mesi e Dhia Ibrahim Damastani due mesi. Altri due imputati, ‘Ali Hassan al-Sadadi e Qassim Mohammad ‘Oumran, si sono visti confermare la condanna a 15 anni per il mero fatto di non essersi presentati davanti alla Corte.
Abbiate ancora pazienza e leggete l’elenco dei reati: Ali ‘Esa Mansoor al-‘Ekri e Ebrahim ‘Abdullah Ebrahim sono stati giudicati colpevoli di “raduno illegale”, “partecipazione a marcia non autorizzata” e “appello a rovesciare il regime con la forza”; Ghassan Ahmed ‘Ali Dhaif e Sa’eed Mothaher Habib Al Samahiji di “sequestro di persona a scopo di terrorismo”, “raduno illegale” e “partecipazione a marcia non autorizzata”; Mahmood Asghar ‘Abdulwahab e Dhia Ibrahim Damastani di “raduno illegale” e “partecipazione a marcia non autorizzata”.
I cinque uomini e la donna entrati in carcere il 2 ottobre fanno parte di un gruppo di 48 medici e infermieri di entrambi i sessi, operatori sanitari del complesso ospedaliero di Salmaniya, nella capitale Manama, arrestati tra marzo e aprile del 2011. Molti di loro avevano curato manifestanti ricoverati al pronto soccorso. Altri avevano rilasciato interviste ai mezzi d’informazione stranieri in cui avevano denunciato le violazioni dei diritti umani commesse contro gli attivisti che, a partire da febbraio, avevano allestito la loro “piazza Tahrir” nella rotatoria della Perla, al centro di Manama, prima che venisse distrutta dalla furia delle forze di sicurezza.
Tutti e 48 furono tenuti in isolamento totale per settimane. Nella maggior parte dei casi, le loro famiglie riuscirono a rivederli solo il 6 giugno, alla prima udienza in corte marziale. Il 13 giugno, il processo si divise in due tronconi, di 20 e 28 imputati, i secondi accusati di reati minori e presto rilasciati. Il 29 settembre, siamo sempre nel 2011, i 20 imputati del processo principale vennero condannati in primo grado a pene dai 5 ai 15 anni di carcere e rilasciati su cauzione. Pochi giorni dopo, il re Shaikh Hamad bin ‘Issa Al Khalifa ordinò la fine dei processi dei civili in corte marziale.
La storia dell’attivismo degli operatori sanitari del Salmaniya, insieme a molte altre, è in questo documentario di Al Jazeera. Parla anche di Nabeel Rajab, condannato a tre anni per partecipazione a manifestazione non autorizzata e già preso di mira per un tweet giudicato offensivo nei confronti del ministro dell’Interno. Il processo d’appello è previsto domani.
Buona parte dei link di quest post sono di una stampa britannica critica nei confronti del governo di Londra, compreso questo, a un’intervista dell’Independent in cui Maryam Al-Khawaja, una delle più note e prestigiose attiviste per i diritti umani, dice che il Regno Unito sta al Bahrain come la Russia sta alla Siria.
Tant’è che, come orgogliosamente annuncia la stampa reale (del Bahrain), è stato appena sottoscritto un accordo militare in materia di difesa tra Manama e Londra.