«Se ti candidi per governare l’Italia, devi raccontare anche qualcosa di te. Appuntamento alle 11 a #Bettola», ha scritto ieri mattina Bersani su Twitter.
E infatti: dopo aver ripetuto per tre anni di essere contrario a ogni personalismo in politica, dopo aver detto che «la comunicazione sta alla politica come la finanza sta all’economia» (cattive le prime due, buone le seconde), dopo aver ripetuto cose come «Bersani non conta, contano il Pd e l’Italia», d’improvviso ha ceduto alla leva centrale della comunicazione politica contemporanea: la personalizzazione. Perciò ieri:
Sto dicendo che Bersani è caduto in contraddizione? che si è fatto irretire da qualche spin doctor? che vuole prenderci in giro? Niente di tutto questo: Bersani cerca di fare l’unica cosa possibile per mettersi al passo con Renzi, che nel frattempo sta usando tutte le tecniche del marketing, della pubblicità e dello storytelling che può.
Certo, il risultato è meno smagliante di quello di Renzi, perché forse Bersani è meno abile nel comunicare, forse meno diligente nell’allenarsi, o forse sono i suoi coach a essere meno agguerriti. Potrebbe ad esempio migliorare la postura e la gestualità, potrebbe disimpastare la parlata e alleggerire i testi. Ma tutto ciò che a un tecnico sembra un difetto può essere preso dagli elettori di centrosinistra – che da sempre demonizzano la comunicazione – come manifestazione di autenticità e immediatezza. Il che non esclude, fra l’altro, che i difetti siano conservati ad arte. Staremo a vedere.