Una delle opere fondamentali della filosofia moderna, la Critica della facoltà del giudizio (1790) di Immanuel Kant, è anche uno dei testi che alimenta il dibattito contemporaneo sotto diversi profili. Ricordo ancora che mi sono avvicinato alla terza Critica kantiana sin dal primo corso seguito all’Università La Sapienza di Roma, ascoltando nel lontano novembre del 1964 le lezioni di uno dei filosofi italiani contemporanei più interessati, Emilio Garroni, allora appena quarantenne, scomparso nel 2005 e di cui la casa editrice romana di Letteratura e storia sta ripubblicando l’opera omnia. Sono lezioni che non ho mai dimenticato per la capacità di rispettare analiticamente l’impervia scrittura kantiana e, nel contempo, per l’elevato grado di rielaborazione speculativa. È stato proprio Emilio Garroni, uno dei pionieri della riscoperta di quest’opera kantiana, fino ad allora sottovalutata, a mostrarne la fungibilità per l’epistemologia e le scienze umane.
Sullo stesso piano si possono porre le intuizioni degli allievi di Hans Robert Jauss, rilevante teorico della letteratura, per l’applicazione di alcuni principi kantiani alla critica letteraria. Alla stessa stregua devono essere interpretate le argomentazioni di Hannah Arendt, che rielabora il giudizio estetico kantiano, declinandolo in maniera costruttiva sul piano politico.
Il dibattito pubblico contemporaneo sui criteri per la valutazione del sistema universitario – si possono consultare al riguardo gli interventi del Presidente dell’ANVUR, Sergio Fantoni, Professori a misura di ANVUR e le risposte critiche di Roberta De Monticelli, Filosofia, vogliamo regole più rigorose e di Eugenio Mazzarella, Un modo alternativo di difendere il principio, apparsi tutti nel supplemento culturale del Sole 24ore di domenica 14 ottobre 2012 – offre un’ulteriore possibilità per dimostrare l’estremo grado di efficacia teorico-applicativa della Terza Critica kantiana. A verifica della fondatezza di tale giudizio si può addurre un volume uscito da poco, Valutare la ricerca? Capire, applicare, difendersi, curato da Paolo Miccoli e Adriano Fabris, che raccoglie gli interventi del Presidente del CUN Andrea Lenzi, di Paolo Miccoli, Luciano Modica, Vincenzo Barone, Orlando Crescenzi, Adriano Fabris, Giorgio Sesti, Andrea Graziosi e del membro direttivo dell’ANVUR Andrea Bonaccorsi.
In particolare, il saggio di uno dei nostri filosofi della morale più acuti, Adriano Fabris, che affronta la vexata quaestio Problemi della valutazione in area umanistica (pp. 41-50), dimostra la feconda applicabilità della terza Critica kantiana al problema generale della valutazione: “… nella Critica del giudizio troviamo scritto: ‘non ci sono regole per l’applicazione delle regole’ … se non ci sono regole meccaniche per compiere questa applicazione resta spazio solo per il buon senso e l’onestà dell’individuo. Kant tutto ciò lo chiamava ‘ingenium’: capacità di decidere di volta in volta come applicare il generale al particolare” (pp. 47-48). Immanuel Kant e Adriano Fabris dimostrano concretamente quanto sia fuorviante il consueto e greve motto secondo cui della filosofia si parlerebbe troppo pur non servendo essa a niente, in realtà questo post dimostra esattamente il contrario: della filosofia non si parla mai abbastanza, perché riesce a risolvere qualsiasi problema, anche quello in apparenza più complicato come la valutazione dell’area umanistica.