Del premio Nobel per l’Economia 2012 ricorderemo quattro cose, tre piccole e una grande.
Le tre piccole sono:
1- La meravigliosa battuta del primo vincitore, Alvin Roth, 61 anni, docente alla Harvard University di Boston: “Adesso i miei studenti staranno più attenti a lezione”. Roth meriterebbe il Nobel per l’arte di non prendersi sul serio, che andrebbe urgentemente istituito.
2 – L’età del secondo vincitore, Lloyd Shapley, professore di Los Angeles: 89 anni. Lo premiano per preziosi contributi scientifici che ha offerto al mondo alcuni decenni fa. Ha fatto la cosa giusta quando era il tempo, il grosso dell’umanità lo viene a sapere adesso, ha avuto la fortuna di vivere abbastanza a lungo da godersi il riconoscimento, e possiamo festeggiarlo ringraziandolo di non averci angustiato con polemiche sulla rottamazione.
3- L’ammontare del premio equivale a pochi mesi di stipendio di un medio banchiere italiano.
Ed ecco quella grande.
Shapley e Roth non hanno collaborato, il più giovane ha preso spunto dagli studi del più anziano e li ha sviluppati. Hanno dedicato la loro intelligenza a studiare il funzionamento dei mercati, lavorando sulla cosiddetta “teoria dei giochi cooperativi” (soprattutto Shapley) e sulla cosiddetta “progettazione dei mercati“. Hanno prodotto complicatissimi algoritmi per il governo di particolari mercati, troppo complicati per spiegarli in breve (e, onestamente, anche per capirli a fondo).
Ma c’è una cosa semplice e grande che possiamo imparare da loro. Avendo dedicato gran parte del loro tempo non tanto a formulare astratte teorie ma a osservare e studiare il comportamento degli uomini e delle donne, hanno aggiunto il loro contributo a una faticosa conquista alla quale il pensiero umano si sta lentamente ma inesorabilmente avvicinando: il denaro non è la misura di tutto. Qui non parliamo di buoni e moralistici propositi, ma di scienza economica. Shapley e Roth ci insegnano che un mercato (che è interazione tra persone) non è per forza più efficiente se affidato al metro del denaro, e che ci sono strade diverse, e molto più furbe, per ottimizzare la vita economica di una comunità. Se, per esempio, l’accesso a una risorsa limitata come l’istruzione universitaria viene riservato a chi offre più denaro, non c’è più bisogno di dire che la cosa è ingiusta dopo che Shapley e Roth ci hanno insegnato che è stupida.
Da diversi anni il premio Nobel si indirizza verso economisti che hanno reso meno triste la “scienza triste”, e che guardano alla vita economica con un respiro umanistico. Solo nella nostra provincialissima italietta, politici di serie B ed economisti a gettone continuano a inneggiare alla dura realtà dell’homo oeconomicus e del mercato come giungla e ad ammorbare il prossimo con un pensiero rozzo. La cultura globale, per fortuna, va in tutt’altra direzione.