Paolo Simoncelli a Bologna per presentare il libro, Il nostro Sic, dedicato a Marco morto un anno fa sulla pista di Sepang: "Da piccolo vedevo questo ragazzino, tutto ricci e dinoccolato. Non pensavo diventasse un campione. Poi si metteva il casco e diventava una bestia. Finita la gara, alzata la visiera, tornava il bambino di sempre”
“È sempre più dura”. Ha la voce rotta il papà di Marco Simoncelli, il pilota che ha perso la vita in sella alla sua moto un anno fa. E lo ripete due volte, lasciandosi scappare un sorriso: “È sempre più dura, nonostante l’affetto che ci dimostra la gente”. Sono passati dodici mesi ed è come se fosse ancora quella lontana mattina di ottobre, quando il respiro si è fermato e loro, mamma e papà, hanno dovuto ricominciare una nuova vita senza Sic. E per ricordarlo hanno deciso di scrivere un libro (Il nostro Sic, Rizzoli, 19 euro) che, prima ancora che una biografia del giovane, è una raccolta di immagini e racconti. Lo scrivono Rossella e Paolo Simoncelli, lo scrive il giornalista Paolo Beltramo, ma anche Valentino Rossi e Andrea Dovizioso, e chiunque abbia avuto voglia di lasciare un piccolo ricordo. È un libro da sfogliare, anche se, dice il padre, “spero che lo leggiate tutto d’un fiato”. Ed è così, almeno per i fan accorsi a ricordare quello che era un eroe buono, dinoccolato e impacciato fuori e poi forte sulla pista da corsa.
È di un anno fa l’incidente che ha rovinato la storia di Simoncelli, al gran Premio di Malaysia, a soli 24 anni. Era il 23 ottobre 2011, una scivolata, la moto senza controllo e la velocità. Ma se il tempo della ricerca dei responsabili è finita, restano i sorrisi di una famiglia unita che porta in giro per l’Italia ricordi e una storia, quella del figlio, che non vogliono sia dimenticata. “All’inizio, – continua il padre, – dicevamo “perché un libro?”, poi ci siamo seduti intorno ad un tavolo e sono tornati fuori racconti e storie del passato e per un attimo è come se fosse tornato tra noi”. Tra le pagine anche il diario della mamma Rossella, righe intime scritte dalla nascita del figlio e che accompagnano ogni gara e viaggio, dall’epoca delle minimoto fino ai gran premi in giro per il mondo: “è un diario che avevo scritto come mamma. E sì avrei voluto regalarlo a Marco una volta diventato grande”. C’è tutto “Sic” tra le pagine del libro scritto in collaborazione con il giornalista Paolo Beltramo. Ci sono gli occhi grandi e i ricci, ma soprattutto il sorriso e la spensieratezza, la semplicità di chi ha un sogno e due genitori che lo aiutano a realizzarlo.
Fan, amici e passanti ascoltano la storia di Simoncelli, così come i giornali hanno cercato di sintetizzarla e così come bene la sanno dire Paolo e Rossella, tra una risata e un ricordo. “Io vedevo in lui un guerriero, – continua Paolo, – quando era piccolo vedevo questo ragazzino, tanti ricci, alto e dinoccolato. Non avresti mai pensato che potesse diventare un campione. Poi si metteva il casco e diventava una bestia. Finita la gara e alzata la visiera, tornava il bambino di sempre”. Per questo la scelta del giaguaro come l’animale che rappresentasse il “Sic” nella vita e nelle sue gare, che poi erano la stessa cosa: un gattone tranquillo che appena viene provocato diventa spaventoso e corre come nessun altro animale. “Gli piaceva pensarsi come un giaguaro”.
È la storia di Simoncelli il campione, quello tutto riccioli e sorrisi e che non accetta una sconfitta. Non l’accetta con le minimoto e non l’accetta sugli sci e nemmeno a Beach Volley o a carte: perché se vuole qualcosa lotta fino in fondo. “Gestire Marco non era facile, – continua il padre. – Lui era così. Voleva fare tutto e sempre al massimo. È il motivo per cui piaceva tanto”. Non sono tanti i fan accorsi alla presentazione del libro, ma piangono e si commuovono a ogni ricordo e aneddoto. Si ride. Si ride come avrebbe fatto Sic, con la spensieratezza del ragazzo di 24 anni che avrebbe dato una pacca al padre e gli avrebbe detto di andare avanti. Piaceva tanto perché era uno semplice e solare, di quelli della porta accanto e che si attaccano ai sogni con gli artigli, a costo di tutto, anche della vita. “Lui era così, – ripete Paolo, – era il suo credo: ti do la paga anche se ho la moto peggiore, anche se questa gara sembra che io non possa vincerla”. Io non resto indietro, sembrava gridare a ogni curva Sic.
Tutto questo c’è nelle pagine del libro “Il nostro Sic”; ci sono la spiaggia, le moto e l’officina. Ci sono le domande del “perché e il come funziona” di quando era bambino, ma anche le canzoni e le fidanzate. Ci sono le minimoto e le escursioni domenicali per una gara, quando ai sacrifici si lasciava posto alle canzoni con mamma e papà in macchina su e giù per l’Italia. E poi c’è Paolo. Il compagno di viaggio e di avventure sempre al suo fianco: “Li ricordo mano nella mano alle gare di minimoto”, dice Andrea Dovizioso ed è un’immagine che hanno tutti in testa, dai fan più appassionati fino al più disinteressato degli spettatori. Un padre e un figlio che per mano vivevano una passione oggi trasformata in dolore incurabile: “Le gare di moto, per adesso, non le guardo più”.