Giulia Maria Mozzoni Crespi, la carismatica fondatrice del FAI (Fondo Ambiente Italiano), non si stanca di dire che non si parla abbastanza dello stato comatoso in cui versano le soprintendenze italiane. Ha perfettamente ragione: se le scuole, le università o le forze dell’ordine vivono assai al di sotto della minima soglia di dignità ed efficienza, le soprintendenze sono state letteralmente massacrate. E il peggio deve forse ancora venire, visto che il programma elettorale di uno come Matteo Renzi propone di abolirle, devolvendone i compiti ai comuni (è facile immaginare con quale disastroso esito).
Ma difendere l’istituto sacrosanto delle soprintendenze non vuol dire giurare in ogni parola dei soprintendenti: anzi, vuol dire denunciarne i tradimenti, le inadeguatezze, le insufficienze.
La soprintendenza di Roma, ad esempio, appare in uno stadio terminale. A mio giudizio il mandato appena concluso di Rossella Vodret ha rappresentato il punto più basso nella storia di quella, pur travagliata, sede. L’ossessione espositiva e la concentrazione morbosa su Caravaggio e i caravaggeschi hanno umiliato le ragioni della tutela e della conoscenza in favore di una caricatura – tra blockbuster e trash – della ‘valorizzazione’. Mostre come quelle del ‘Guercino ritrovato’ a Castel Sant’Angelo, o la devastante kermesse del ‘Tempo di Caravaggio’ a Palazzo Venezia saranno studiate come memorabili exempla negativi.
E ne vedremo ancora delle belle. Nell’introduzione alla mostra del 2011 sui Borghese e l’Antico, Anna Coliva (direttrice della Galleria Borghese, e ideatrice del progetto Dieci Grandi Mostre) scrisse che aveva deciso di rinunciare alla mostra sul pittore ferrarese del Cinquecento Dosso Dossi perché «gli studi non hanno prodotto abbastanza novità da giustificare un nuovo progetto espositivo. E le mostre inutili spesso sono anche dannose». Niente da fare: pochi mesi dopo, la Vodret scriveva una lettera alla Coliva (e alla società produttrice della mostra) comunicando che, studi o non studi, «la settima mostra del Progetto Dieci Grandi Mostre si terrà indicativamente nel periodo aprile-settembre 2012 e celebrerà l’autore Dosso Dossi attraverso una selezione dei capolavori del Maestro». Chiaro no? Non importa la ricerca, importa la celebrazione con ostensione di ‘capolavori’. Per ora ci ha salvato la crisi: ma show must go on.
Tra poco, per esempio, si dovrebbe inaugurare una improbabile rassegna delle veneratissime e delicatissime icone romane, che verranno strappate agli altari di San Francesco a Ripa, di Santa Maria del Rosario, di Santa Maria del Popolo per accostarle a qualche ‘scartina’ restaurata nel territorio laziale. Una mostra nata in concerto col Fondo Edifici di Culto del Ministero degli Interni, e che farà serie con altre memorabili esposizioni volute dal Fondo: come I colori del buio – sui caravaggeschi (ma va?), e subito ribattezzata Buio pesto, vista la seriazione dei dipinti – o quella mitica su La gioielleria di Dio.
E il patrimonio? Di queste ore è un durissimo comunicato della CGIL che accusa la Vodret di aver imposto la chiusura del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali: «probabilmente più di questo patrimonio di strumenti (mal)conservati interessa il contenitore, e si mira allo sfratto del Museo per dedicare Palazzina Samoggia, sede del museo, ad altri usi».
C’è da sperare che la nomina della nuova soprintendente, Daniela Porro, segni una cesura con un periodo tanto opaco? L’ottimismo della volontà si scontra col pessimismo della ragione: la dottoressa Porro, pur laureata in storia dell’arte, non è una studiosa attiva, ed ha un profilo da amministrativa pura, semmai con esperienze nel settore delle biblioteche. È vero che la funzionaria ha al suo attivo la musealizzazione di parte dei lucchetti di Federico Moccia a Ponte Milvio: ma esiterei prima di considerare un simile storico provvedimento alla stregua di un titolo positivo.
In stretta osservanza della ‘dottrina Ornaghi’ (riassumibile nella massima per cui: ‘la competenza è irrilevante, anzi pericolosa’) non si affida lo straordinario patrimonio storico e artistico di Roma ad un vero storico dell’arte. Laddove il modello italiano di tutela (il migliore del mondo) si reggeva invece sul presupposto che la tutela si fondasse sulla ricerca: e tanto più impegnativa era la tutela, tanto più solido e illustre doveva essere lo studioso cui affidarla.
Ma a Roma ormai il soprintendente è quasi solo un movimentatore di opere: è facile prevedere che al prossimo giro sarà nominato direttamente l’amministratore delegato della Gondrand.