Ieri in Corso Re Umberto, a Torino, c’è stata una festa. Liturgia civile collettiva, mezzo secolo (meno un lustro) dopo frenata, schianto e lacrime in funerale. Il libro degli ospiti, coi nomi degli invitati, l’ha portato un tedesco, all’anagrafe Edgar Wangen: ‘Die graber der Gotter, le tombe degli dei’. La colonna sonora, l’ha cantata Gianni Morandi: ‘C’era un ragazzo, che come me amava i Beatles e i Rolling Stones.’ Calici alzati e brindisi finale, alle parole di Gianni Brera: “Era il simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni”.
Come in ogni festa che si rispetti, l’inesorabile angolo dei ricordi: li ha portati il Torino FC. I suoi tifosi, invece, hanno pensato ai fiori e tutto il resto. Sullo sfonfo, dai social network ‘Follower’ e ‘Mi Piace’ su pagine di storia, indelebile, non solo granata.
Quando non era ancora il 1968, Vladimiro Caminiti provò a raccontarne il fenomeno. Cogliendone il centro e punti vitali: “In più ha i capelli e i ghiribizzi. Si disegna i vestiti e poi li porta al sarto personalmente seguendone la confezione. Dipinge ma non sa dire fino a che punto è artista… Si chiama Meroni, gli amici lo chiamano Gigi… Dice di ammirare soltanto Sivori fra tutti i campioni del calcio, senza volerlo imitare.”
Sarà perché i tifosi – da sempre – sono attratti dagli irregolari, extra-ordinario che stravolge responso del campo e vita terrena canonica. Sarà perché chi muore giovane, poi, come in una tragedia greca è sempre caro agli dei. Sarà perché, nell’immaginario, le leggerissime ali numero 7 della farfalla dribblano armoniosamente le 31 stelle di Superga. Fatto sta che, però, nella prossima primavera, probabilmente su Rai Uno, una fiction liberamente tratta dalle pagine di Nando Dalla Chiesa, proverà a raccontarne estro, creatività e vitalità. Per grandi e piccini.
Perché quarantacinque anni dopo, da Como inimitabile, lui è ancora Gigi Meroni, calciatore beat di altra generazione. Sinonimo di festa, genio e sregolatezza.