Ci risiamo: italiani mammoni, giovani uomini bamboccioni, madri italiane opprimenti, un paese fabbrica di maschi inguardabili sotto ogni profilo. Nello spot norvegese, che pubblicizza una agenzia immobiliare con target chiaramente maschile e giovane, viene proposto un minuto e mezzo zeppo di mini esempi dell’incultura nazionale sull’educazione del maschio latino: madri anziane che accudiscono figli che, pur non avendo segni di handicap fisici o psichici, si fanno imboccare, mettere a nanna, pulire, venerare come talmente importanti da non poter svolgere alcuna banale attività quotidiana di cura e sussistenza, tutte di appannaggio femminile, nonostante alcune delle madri vengano poi ritratte mentre sfilano con cartelli, e però richiamate al desco dal figliolo attempato che esige la cena, il pranzo o il bagnetto.
Quello ancora on line è lo spot mandato in onda prima delle polemiche (delle quali in realtà si sa solo ora) perché poi pare che in Norvegia sia stato ritirato e siano state cancellate le citazioni verbali che tirano in ballo direttamente l’Italia.
Nel nostro paese si sono già verificati casi (qualcuno imbarazzante quanto a negazione dell’evidenza) nei quali si è levata la fronda dell’irritazione quando si è osato dire che qualcosa non funziona nell’educazione italiana: nel 2007 fu la volta, clamorosa, dell’articolo Naked ambition del collega Adrian Michaels, che sul Financial Times descrisse il sessismo imperante già all’arrivo all’aereoporto di Fiumicino dai teleschermi tv, un anticipo del lavoro svolto poi con Il corpo delle donne da Lorella Zanardo.
“Si facciamo gli affari loro”, fu la reazione dell’allora governo satrapico di Berlusconi, e poi si è visto come è andata a finire con le cene eleganti e gli inviti a sposare uno ricco se si è disoccupate, belle e giovani.
E se per un attimo si facesse un esamino di coscienza? Sicure e sicuri che gli stereotipi sui mammoni siano solo un luogo comune, un retaggio dell’antico patriarcato dove le donne ‘comandano in cucina’, i figli maschi sono cocchi di mamma ai quali mai si può chiedere di fare i piatti e metter su la lavatrice, cittadini di un paese dove badare alla casa e ai figli sono cose da donne? Tutto superato, al punto da chiedere alla società norvegese di ripulire dagli accenni al belpaese lo spot in cui si invitano i maschi locali a prender su casa da soli?
Mi sa che a buttare un occhio al rapporto ufficiale dell’Istat Uso del tempo e ruoli di genere-Tra lavoro e famiglia nel ciclo di vita, c’è poco da indignarsi se leggiamo che “anche la diseguaglianza nella ripartizione dei compiti domestici è esemplare e persistente: se alla fine degli anni Ottanta, l’85 per cento del lavoro familiare era a carico femminile, oggi lo squilibrio si è ridotto di soli 10 punti percentuali. Le italiane, dunque, continuano a portare sulle loro spalle tre quarti dell’impegno nelle attività domestiche e di cura (Del Boca e Mencarini 2011)”.
Quindi. Potrà anche dare fastidio a chi, penso alle tante madri che lottano contro la cultura televisiva imperante di programmi purtroppo formativi di massa come Uomini e donne, o giovani uomini coscienti e autonomi, non si riconosce soggettivamente nel quadretto pregiudizievole dello spot.
Però non è possibile raccontarcela: in questo paese è ancora minoritaria e sottovalutata l’educazione paritaria tra bambini e bambine, in famiglia e poi a scuole e nelle altre agenzie educative, che comincia in modo apparentemente inoffensivo dal colore azzurro e rosa delle scarpine e poi decolla, molto più preoccupante, fino ad autorizzare figli adolescenti a dire a madri e sorelle che ‘i piatti li fai tu perché sei una femmina’.
Come non pensare che, pur non in automatico, una diseducazione del genere non sia poi anche uno dei motivi che porta alla violenza contro le donne? Forse quello spot, in fondo, non è poi così fastidioso, se ci aiuta a vedere cosa cambiare, e in fretta.