Probabilmente sarà ricordata come la sanatoria capace di trasformare muratori e facchini in colf e badanti. Magie degli incentivi e delle regole della sanatoria del governo Monti. Pensata per fare emergere il sommerso, si è rivelata un flop completo. A partire dai numeri, deludenti vista la platea di riferimento. A fronte di 350mila potenziali richieste, in tutta Italia sono state solo 130mila le domande di regolarizzazione presentate, e di queste unicamente 17mila per contratti di lavoro subordinato. Troppo poco rispetto alle aspettative e ai proclami. “Sarà una grande opportunità non solo per i lavoratori stranieri ma anche per gli italiani che faranno un gesto di ravvedimento operoso”, spiegava il ministro Ricciardi un mese fa. I dati dicono diversamente. A Milano meno di 20mila domande contro le 43mila della precedente sanatoria del 2009, a Bologna appena 3mila, in tutta l’Emilia-Romagna neppure 15mila.

Al di là dei numeri c’è la questione delle irregolarità. Evidenti a tutti, tanto che anche la Lega Nord sta già chiedendo a gran voce controlli a tappeto “contro gli schiavisti del terzo millennio”, mentre la Cgil esprime tutta la propria perplessità su di una situazione a dir poco anomala. In Emilia Romagna – ma nel resto d’Italia la situazione non è molto differente – le badanti si sono di colpo trasformate in uomini, esattamente come le colf. “Gli uomini sono la maggioranza”, spiegano dalla Camera del lavoro di Bologna. Non solo: i classici paesi da cui arrivano badanti e domestiche sono spariti nell’ideale classifica delle nazionalità che più chiedono di essere regolarizzate. La Moldavia è solo al dodicesimo posto, le Filippine due gradini più in basso. La Bielorussia perduta a metà classifica. L’Ucraina? Solo terza. E non fosse per Kiev l’Europa dell’est sarebbe completamente sparita, sommersa da India, Bangladesh, Egitto e Marocco. “Non possiamo nasconderlo – spiega la Uil Immigrazione – Il Marocco non è mai stato culla di colf e bandanti. Per nulla”.

“Dietro a questi dati si nasconde del lavoro subordinato – spiega Domenico D’Anna della Cgil Emilia-Romagna – Regolarizzare le colf costa meno, e per giunta è l’unico settore dove si può presentare domanda di part-time, pagando molto meno in contributi e tasse. Ecco perché il datore di lavoro sceglie di regolarizzare le persone in questa maniera”. Ed ecco perché un muratore marocchino, un pizzaiolo egiziano o un cameriere indiano si trasformano di colpo in una badante. Una magia burocratica che fa risparmiare al datore di lavoro tra i 4 e gli 8mila euro, se si sommano una tantum e contributi previdenziali.

C’è poi la questione delle difficoltà burocratiche. Per ottenere l’agognato permesso di soggiorno i migranti hanno dovuto certificare la propria presenza ininterrotta in Italia dal 31 dicembre 2011 in avanti. Dunque ricevute e documenti della pubblica amministrazione ma anche certificati medici o del pronto soccorso. “Difficile pensare che un clandestino abbia frequentato organismi pubblici e sia riuscito a presentare i documenti richiesti”, spiega Anna Maria Rossi della Camera del lavoro di Bologna. Due settimane fa l’Avvocatura dello Stato ha dichiarato ammissibili anche i contratti telefonici e gli abbonamenti ai mezzi pubblici. “Le domanda così sono triplicate, ma ormai era troppo tardi. Abbiamo chiesto una proroga, ma nessuno ci ha ascoltato”, spiega Giuseppe Casucci della Uil.

Altro problema i mille euro forfettari da pagare, a cui bisogna aggiungere sei mesi di contributi. E se la domanda alla fine verrà rifiutata i mille euro saranno persi. Un’eventualità che ha spaventato tutti, imprenditori e famiglie che affidano i nonni alle cure delle badanti. E così le pratiche sono state aperte sopratutto da privati. Con il rischio truffa.  La paura della Cgil è che i migranti abbiano pagato di tasca propria i mille euro e convinto persone di loro conoscenza a regolarizzarli, anche in assenza di un reale rapporto di lavoro. E se il posto di lavoro invece c’è, le regole della sanatoria hanno spinto l’imprenditore di turno a far passare il proprio dipendente come colf, risparmiando così migliaia di euro in contributi. In tempi di crisi una tentazione che per molti si sta rivelando troppo forte. Per usare le parole di Piero Soldini della Cgil, “si è regolarizzato il lavoro che non c’è, ed è rimasto in nero quello reale”.

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