Cominciamo dal titolo, in prima pagina, di spalla. Non senza aver notato che a fianco, in alto, a centro pagina, un’imponente e artistica fotografia larghezza quattro colonne dell’International Herald Tribune – che ne ha sei in tutto – mostra un uomo che spara, dalla penombra verso la luce, con un kalashnikov. La didascalia è uno splendido antipasto alle abbondanti portate che verranno: “Un soldato dell’Esercito Libero Siriano sta sparando sulle posizioni governative di Aleppo. Gli Stati Uniti temono che armi simili a missili da spalla (‘shoulder-fired missiles‘) possano finire in mano ai terroristi”.
Due brevi notazioni: le formazioni militari che combattono contro il governo siriano sono diventate un ‘esercito’, che automaticamente viene definito ‘libero’. Due piccioni, come si suol dire, con una sola fava. Praticamente c’è già tutta la spiegazione, che uccide nella culla ogni possibilità di replica. Del tipo: ma è un esercito, oppure sono bande di mercenari provenienti in gran parte dall’esterno? Come si capisce, questa variante è già stata eliminata dalla scena. Ad essa il lettore non deve nemmeno pensare, né sospettare qualcosa. L’aggettivo ‘libero’ suggella l’unica ipotesi rimasta. Essendo un ‘esercito’, e ‘siriano’, che spara pacificamente contro il governo siriano, esso non può che essere anche ‘libero’. I ‘terroristi’ chi sono? Non viene precisato ma è un peccato veniale, forse una distrazione.
E ora passiamo al titolo. “Citando (fonti, ndr) degli Stati Uniti, gli alleati arabi riducono l’aiuto ai ribelli siriani”. Insomma si tratterebbe di una ritirata, di un abbandono, di un ripensamento. Lodevole, come tra poco vedremo. Il cui merito va attribuito a Washington, che viene qui implicitamente tratteggiata come una forza di pace. L’occhiello pennella altri dettagli. “L’Arabia Saudita e il Qatar riprendono indietro le armi più potenti nonostante le pressioni interne”, che, si presume, vorrebbero invece venissero lasciate in mano ai ribelli. Dunque è merito precipuo degli Stati Uniti questa svolta moderata. Sono loro a tirare il guinzaglio cui tengono legati i loro alleati con la bava alla bocca. Degna di nota (lo evidenzio all’attenzione dei lettori distratti) la notazione sulle “pressioni interne” cui i governi del Qatar e dell’Arabia Saudita sarebbero soggetti. Quasi che le due monarchie arabe assolute avessero una qualche opinione pubblica interna, giornali, televisioni, partiti, in grado di esercitare “pressioni”. Insomma: alleati fedeli, da tenere tuttavia al guinzaglio, perché mordono, ma superati in bellicosità dalle rispettive opinioni pubbliche guerrafondaie.
Ora, poiché la gran parte dei lettori si limitano a guardare i titoli e gli occhielli, la storia sarebbe già finita qui. E devo dire che il lavoro dei caporedattore del giornale americano è stato notevole. Con solo 21 parole davvero non si potrebbe fare di più. Ma poiché mi propongo di scrivere un capitoletto di un futuro manuale per sepolcri imbiancati, mi lascio prendere dalla curiosità e mi addentro nell’articolo. Il cui autore, tale Robert F. Worth, avrà sicuramente successo nella sua scalata dentro il giornale. Intanto perché in mezzo alla melassa riesce a infilare anche qualche notizia, di quelle che dovrebbero ricoprire di vergogna tutti i mezzi Pulitzer italiani che non hanno neanche il coraggio di pensarle, non dico di scriverle. Ma questo è un dettaglio provinciale. Tuttavia sospetto che il nostro Robert F. Worth non si sia ben reso conto di quello che ha scritto, oltre alla melassa consapevole. Il che non depone a vantaggio della sua intelligenza, ma sicuramente -mostrando la sua irrimediabile stupidità – ci fa escludere che si tratti di un immondo bugiardo.
Dunque lo tradurrò letteralmente, invitando i lettori a svolgere un esercizio pratico di distinzione tra la melassa e la notizia. “Per mesi l’Arabia Saudita e il Qatar hanno rifornito i ribelli di denaro e di armi leggere, ma si sono rifiutati di fornire armi più pesanti come i missili da spalla, che avrebbero potuto consentire ai combattenti dell’opposizione di abbattere i velivoli governativi o di eliminare i mezzi blindati, invertendo così le sorti della guerra”. Ma ora i due governi citati, che pure “hanno pubblicamente invitato” tutti gli altri ad “armare i ribelli”, si sentono “scoraggiati dagli Stati Uniti”.
I quali, tuttavia, non sembrano così scoraggianti visto che – scrive ancora il nostro impavido Robert F. Worth, citando una fonte ufficiale, anonima, di Riyadh – “non ci vietano di fornire armi pesanti di quel tipo: ci mettono solo di fronte ai rischi (che corriamo,ndr)”.
Ma Robert vuole sentire tutte le campane (che gli sono permesse), secondo le limpide regole del giornalismo anglosassone, e dunque si rivolge a fonti ufficiali statunitensi. Le quali “rifiutano di commentare il tenore dei colloqui con gli alleati del Golfo. L’unica cosa che sono disposti a dire è che “noi facciamo ciò che riteniamo appropriato per aiutare l’opposizione non armata affinché la sua azione sia più efficace, e per lavorare a stretto contatto con l’opposizione perché si prepari a una transizione”.
E mi fermo qui perché sono esausto. Fatto il compito?
Adesso facciamo il quiz. Dov’è la notizia? La notizia è il riconoscimento papale papale che il cosiddetto esercito “libero” è stato interamente pagato da sauditi e qatariti, oltre che armato di tutto punto (non solo dai suddetti, ma anche con 800 milioni di dollari offerti dalla cosiddetta comunità internazionale). Dunque è stato, ed è, libero come Khaled Sheikh Mohammed.
Dov’è la melassa, o la bugia? Nella falsa notizia che i ribelli non hanno ricevuto armi pesanti. Se dobbiamo dare retta alle decine di filmati che gli stesi ribelli immettono ogni giorno su youtube, aiutati dai servizi segreti occidentali, tutti inclusi, le armi pesanti le hanno eccome! Vediamo i loro bazooka che colpiscono, i lanciagranate (anche quelli sono armi da spalla), le mitragliatrici pesanti, che martellano i centri, abitati e non abitati, mentre i ribelli esibiscono i rottami dei velivoli abbattuti.
Che gli arabo sauditi stiano agli ordini di Washington è favoletta buona solo per i gonzi. E, del resto, dalle righe del nostro inviato speciale a Riyadh, sembra che il divieto americano sia più che morbido, morbidissimo.
Dov’è ancora qualche scampolo di verità? Nell’ammissione piena dell’illegalità del comportamento americano che, senza avere nessuna legittimità per farlo, lavora per far cadere un governo che ritiene ostile, usando tutti i mezzi a disposizione, incluso il terrorismo. La legittimità, che i servi nostrani assegnano all’azione americana, è cancellata dalle righe che abbiamo citato. Se c’è questo presunto esercito, è perché è stato finanziato e armato dall’esterno. Dunque anche sotto questo profilo il re è nudo.
Finiamo con la melassa più indigesta. L’anonimo “official” del Dipartimento di Stato, dopo tutto quello che abbiamo fin qui letto, ha la faccia tosta di dire che Washington aiuta l'”opposizione non armata”. Io non me la prendo con lui: fa il suo sporco mestiere. Me la prendo con Robert F. Worth. Ma come fai, vecchio o giovane cialtrone che tu sia, a scrivere una frase del genere, tra virgolette, senza farci sapere che gli hai sghignazzato in faccia? Adesso che ci penso, però, forse non gli hai sghignazzato in faccia.
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