Difficilissimo, appartenendo alla categoria, intervenire sul tema del giorno: l’aumento dell’orario di servizio dei professori a parità di salario. Ogni elemento che aggiungessi alla discussione cercando di spiegare perché questo, ancora non certo, provvedimento ci appare ingiusto e dannoso non farebbe che fomentare la rabbia di quelli, e sono molti a giudicare dalle reazioni, che considerano i lavoratori della scuola sostanzialmente dei privilegiati che lavorano la metà della “gente normale”.

Mi limito, pertanto, solo a individuare quella che ritengo una contraddizione nei ragionamenti, a volte pacati ma spesso rabbiosi, di chi vede nel preannunciato provvedimento un giusto risparmio di denaro pubblico: ogni risparmio fatto sulla scuola, ogni riduzione d’organico (perché è di questo che si sta parlando), ogni taglio è in realtà un taglio a un servizio essenziale dello stato di cui ciascuno usufruisce. Chi mai si è dichiarato contento della riduzione dei treni? Chi potrebbe sorridere vedendosi ridurre, a parità di bolletta, la fornitura dell’acqua o del gas? Chi potrebbe mai augurarsi il peggioramento di un servizio che egli stesso paga?

E invece no. Molti gioiscono e, portando in trionfo il ministro Profumo, brandiscono felicemente le cesoie: ma sì, riduciamo ancora l’organico, aumentiamo gli alunni per classe, raggruppiamo le scuole riducendo l’amministrazione e i dirigenti, tagliamo gli insegnanti di sostegno. Evviva, costruiamoci una scuola sempre più scadente dove i nostri figli, i figli dei figli, i figli dei figli dei figli siano sempre meno seguiti.

E’, forse, su questo autolesionismo del popolo italiano che ha puntato il ministro quando, ci piace immaginare con un po’ di vergogna, ha aggiunto le sue paginette alla fine del documento di stabilità.

Anche a me capita, quando ritiro i compiti in classe, l’alunno timido e palliduccio che consegna per ultimo infilando il suo compito sotto la pila. Ma certamente a dare la spinta al ministro, a dargli il coraggio di consegnare il compitino al professor Monti, e’ stata l’esperienza, la memoria, della totale incapacità di reazione dei lavoratori della scuola e dell’opinione pubblica, per l’autolesionismo di cui sopra, di fronte a una costante corrosione dell’apparato scolastico pubblico.

Non credo che dovremmo essere solo noi a reagire; credo, però, che almeno noi dovremmo farlo. L’occasione, del resto, sembra ghiotta, anche per il più triste e malconcio sindacato: il provvedimento in questione unisce magicamente gli interessi di tutte le categorie di docenti, quelli di ruolo, i supplenti annuali e quelli temporanei, i giovani abilitati.

Proviamo per una volta a muoverci con inusuale compattezza, chissà che non succeda qualcosa. Per favore, però, lasciamo perdere con gli scioperi del venerdì, solo controproducenti. Si ragiona solo sulle ore che trascorriamo in classe? Bene, limitiamoci ad assicurare quelle e rinunciamo a tutte le deleghe che il dirigente scolastico spalma sul corpo docente, spesso e sempre di più come onorificenza senza oneri, per poter assicurare il funzionamento della scuola. Niente più delegati del preside, coordinatori di classe, commissari: me lo immagino, il mio amico preside, seguire gli scrutini delle sue quattro scuole, o disporre le sostituzioni al mattino nei quattro plessi. Il nostro lavoro, la parte più bella e gratificante, sarebbe assicurato ma la scuola si paralizzerebbe. E forse qualcuno comincerebbe a pensare al nostro impegno in modo diverso.

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