Ferruccio De Bortoli come Augusto Minzolini? Così già titola qualche blog, mettendo sullo stesso piano l’azzimato confindustrialese direttore blasé del Corriere della Sera e l’ex boss del TG1, con quel suo look tipo “le iene”.
Tutto nasce da un esposto all’Ordine dei giornalisti lombardi, promosso dalla Società Pannunzio per la libertà d’informazion e il 12 ottobre, in cui si richiede l’apertura di un provvedimento disciplinare nei confronti del De Bortoli. Motivo dell’istanza è un’intervista all’ex Ministro Franco Frattini a firma Paola di Caro, pubblicata dal quotidiano di via Solferino il primo del mese, in cui si lascia passare impunemente la falsa affermazione che Berlusconi sarebbe sempre stato assolto nei processi che gli sono stati intentati.
La solita bugia che mette sullo stesso piano assoluzione e prescrizione, questa volta accreditata dalla (presunta) autorevolezza della corazzata meneghina del giornalismo nazionale. Tre giorni dopo la Pannunzio chiede al direttore una rettifica senza ottenere risposta. Da qui l’esposto, argomentato dall’aver “lasciato i propri lettori nell’inganno di cui l’articolo in questione si è fatto strumento”. Grosso modo la stessa motivazione per cui il Minzolini venne condannato dall’Ordine dei giornalisti del Lazio.
Fin qui la vicenda. Da cui possono derivare alcune riflessioni. Innanzi tutto sulla zona grigia che in tutti questi anni ha fatto da alone alla vicenda imprenditoriale e politica del Cavaliere di Arcore, svolgendo funzioni di legittimazione molto più efficaci di tutte le smargiassate e gli ululati dei bravacci berluscones d’ordinanza. Il cosiddetto cerchiobottismo, che poi si vedeva benissimo da che parte stava: quella del riccone incontrollabile e insindacabile. Un posizionamento nel dibattito pubblico che trovava il proprio santuario in quel di via Solferino. Resta da capirne la ragione (e – dunque – l’ultimo riflesso condizionato di De Bortoli nel mettere a tacere una polemica fastidiosa come quella della Pannunzio). Interessi occulti? Scambi inconfessabili? Vantaggi materiali? Probabilmente e più semplicemente servilismo.
Quell’atteggiamento mentale che mezzo millennio fa l’amico di Montagne, Ètienne de la Boétie, definiva “servitù volontaria”: «la prima ragione per cui gli uomini servono volontariamente è che nascono servi e vengono educati come tali». Storia antica, che ritrovi dove meno te l’aspetti. Gira su youtube la performance di un’autorevole esponente dell’Idv – l’assessore di Regione Liguria Marylin Fusco – che tempo fa, discutendo in una televisione privata con quell’altro colosso del pensiero politico chiamato Iva Zanicchi, se ne uscì affermando che Berlusconi sarebbe “vittima di una persecuzione mediatica”: pura condiscendenza (magari anche a scapito della “linea” del partito di appartenenza) nei riguardi del pensiero mainstream imposto dal monopolista del sistema mediatico italiano.
Ormai più che indignarsi ci si scoraggia, davanti ai reiterati riflessi condizionati di servitù volontaria proprio mentre il potere del tiranno va evaporando. A riprova che i lasciti della lunga stagione che abbiamo alle spalle sono nodi che avranno bisogno di tempi lunghissimi per sciogliersi.
Anche per questo diventa importante ricordare i buoni maestri dimenticati, quelli che insegnavano a giornalisti e – più semplicemente – cittadini l’arte difficile di tenere la schiena dritta. Come Mario Pannunzio, mitico direttore di un settimanale davvero liberale chiamato “Il Mondo” che chiuse i battenti l’8 marzo 1966 dopo diciassette anni e 890 numeri, in quanto non riusciva a intercettare i 16mila lettori necessari per sopravvivere. Comunque l’allora corrispondente de Le Monde Jacques Nobèrcourt scrisse che “quello era il fatto del giorno”, nonostante che in quello stesso giorno Aldo Moro presentasse alle Camere il suo nuovo governo.