Dopo l’iniziale entusiasmo per la rapidità con cui i giapponesi sono riusciti a rimuovere le macerie dello tsunami e ripulire le strade dell’11 marzo 2011, lunghi tratti delle coste del nordest dell’arcipelago rimangono distese di fango inabitate.

Già ad agosto del 2011, cinque mesi dopo l’arrivo dell’onda, quel che rimaneva di città e villaggi distrutti è stato raccolto e portato via. Le strutture barcollanti sono state abbattute. Molti sopravvissuti erano già stati spostati nei prefabbricati, piccoli ma accoglienti, a qualche chilometro dal mare. Dove tuttora rimangono continuando a chiedersi fino a quando resteranno. 

I progetti per ricostruzioni su larga scala dell’area sono numerosi, ma alcuni dei fondi e delle risorse che lo scorso dicembre erano state stanziate per questo scopo, stanno prendendo altre strade. In un documentario trasmesso il mese scorso dalla tv pubblica Nhk, si è scoperto che degli oltre 90 milioni di euro  (9,3 miliardi di yen) preventivati finora, quasi 25 milioni (2,45 miliardi di yen) sono stati spesi per progetti che non c’entrano con il terremoto. Non sono stati sperperati, ma usati ad esempio per organizzare corsi per i detenuti in Hokkaido e Saitama o costruire un muro lungo la spiaggia a Okinawa, per prevenire inondazioni. Intanto nelle tre prefetture colpite dallo tsunami, Iwate, Miyagi e Fukushima, centinaia di porti rimangono inutilizzati e il personale mandato per dare una mano a ricostruire l’area è stato ridotto, addirittura del 40 per cento, riporta lo Yomiuri Shimbun.

Rimangono le numerose iniziative dei volontari delle scuole giapponesi che mandano i loro studenti per dare vita a progetti per gli sfollati o per far ripartire i villaggi distrutti. Ma al di là della politica e degli aiuti, la vera spinta per ripartire è data dalla forte volontà e iniziativa delle persone del posto, molte delle quali sono anziane. Si organizzano tra loro in associazioni, hanno ricreato interi quartieri con negozi, ristoranti e altri servizi nei prefabbricati. A Otsuchi (qui ad agosto 2011) i giornalisti sopravvissuti assieme ad altri volontari hanno fatto ripartire un giornale locale. È stato rinominato Otsuchi Mirai Shimbun (Il giornale del futuro di Otsuchi). L’ultimo articolo pubblicato il 12 ottobre, inizia con le parole di un rifugiato “Chissà quando tornerò a casa, spero almeno di entrarci prima di morire e di non finire i miei giorni in una casa provvisoria”.  Nella città il progetto per la ricostruzione va avanti, si è deciso dove mettere le nuove abitazioni e di costruire un tratto di argine alto 14,5 metri.

Ma dai progetti ora tutti aspettano che si parta con la costruzione.

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