Una sala piena di sindaci sul piede di guerra. È l’accoglienza trovata dal presidente del Consiglio Mario Monti, in occasione dell’apertura dei lavori dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani a Bologna. A circa un anno dall’entrata in carica del governo dei tecnici, tante sono le critiche mosse dagli amministratori locali a chi, almeno secondo le aspettative, avrebbe dovuto tenere maggiormente in conto i bisogni dei cittadini.
Un coro di proteste e di delusioni da parte di quelle istituzioni che nel corso dei mesi si sono sentite come una cassa da cui attingere finanziamenti, senza ricevere niente in cambio. “Io sono qui perché ho accettato l’alleanza con i comuni. – ribatte Mario Monti, -Non abbiamo agito con un bisturi, abbiamo dovuto evitare una catastrofe. E credo che in questa situazione di crisi possiamo collocarci allo stesso livello di difficoltà, voi sindaci e noi governo. Siamo riusciti ad evitare l’abisso della crisi economica, però capisco che si cerchi la crescita”.
Ci volevano i sindaci italiani per mettere in difficoltà il presidente del consiglio, che ai tanti disagi presentati cerca di trovare giustificazioni. “Se non vedete la crescita, non vorrei che pensaste che non è stata oggetto di attenzioni. Semplificazioni, lotta all’evasione fiscale, riordino delle province, nascita delle città metropolitane: abbiamo fatto tutto questo. Oggi addirittura la legge contro la corruzione. Non mi piace usare l’espressione metterci la faccia, ma noi ce l’abbiamo messa. Mi dispiace che la nostra azione abbia dovuto comportare brutalità, ma vorrei invitarvi ad avere fiducia per il futuro”.
Se da una parte ci sono le vaghe risposte del premier, dall’altra vi sono le concrete domande degli amministratori locali. Autonomia è la parola d’ordine scandita, con una tripla A che sta per autonomia finanziaria, fiscale e organizzativa. A lanciare la provocazione è il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che dice: “Noi chiediamo che la crisi economica non voglia dire ritorno alla centralità. Non dimentichiamoci delle realtà locali. Qui non c’è nessuna casta politica, qui ci sono sindaci che lavorano ogni giorno senza ricevere una lira e mettendo soldi di tasca propria. Io credo che sia possibile valorizzare questa esperienza. Noi chiediamo che le riforme tengano conto dei territori”.
L’attacco riguarda due punti fondamentali: il ritorno dell’Imu ai comuni e una revisione del patto di stabilità. “Noi siamo chiamati a fare gli esattori di imposte senza avere risultati. Se paghiamo dobbiamo anche essere lasciati liberi di modulare le tasse che dobbiamo applicare. Infine il patto di stabilità: noi crediamo nei comuni come motore di sviluppo. È necessario rivedere questo patto stupido e ottuso”.
Una modifica del patto di stabilità a proposito della quale parla anche lo stesso Monti: “Lavoriamo quotidianamente a livello europeo perché si abbia un riconoscimento di chi ha agito in maniera virtuosa. Sappiate che ciò che a voi appare semplicissimo e di logica evidente, può essere il risultato di battaglie pluriennali. Vi assicuro che se l’Italia quest’anno avesse avuto una scivolata come tutti temevano, le proposte di modifiche sul patto di stabilità sarebbero state rinviati di molti anni”. Il presidente del consiglio sottolinea ancora una volta l’impossibilità di restituire interamente l’Imu ai comuni: “Ci rendiamo conto che una criticità del tributo riguarda una riserva allo stato di una parte di gettito, purtroppo tale quota non è ancora eliminabile, tuttavia stiamo studiando un’ipotesi per cercare di ridurre la riserva a favore dello Stato per quanto riguarda l’applicazione dell’Imu”.
È un grido di rabbia quello lanciato dagli amministratori comunali, che sottolineano il loro impegno sul territorio, la loro capacità e consapevolezza dei problemi che in un grave periodo di crisi economica toccano i singoli comuni. A parlare con fermezza è il presidente dell’Anci nonché sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio che insieme a una maggiore autonomia chiede più responsabilità. “Il Federalismo non ci interessa senza autonomia. Non si può pensare di sostituire la politica con la Corte dei Conti, quella è una strada sbagliata. Solo per fare un esempio: lo Stato ha dichiarato la fine dello stato sociale, ne ha celebrato il funerale. Se in questo paese si conserva una relativa tenuta sociale, ciò è dovuto soprattutto alle fatiche e al lavoro delle amministrazioni comunali. Ora invece arrivano risposte insoddisfacenti dalle istituzioni che stanno fisicamente mettendo in ginocchio i Comuni”.
Parole dure a difesa di quella che Delrio chiama la buona politica del paese e che ora vuole di più: “Giudichi lei se difendiamo una casta presidente. Da noi c’è il vincolo dei due mandati e conosciamo un naturale ricambio. È un gravissimo errore che i comuni siano descritti come luoghi di sperpero, di arricchimento, di cattiva gestione. Colpiamo i casi singoli, e rifuggiamo da giudizi sommari”.
Federalismo fiscale, regole chiare e semplici, un’accelerazione nella spending review per il riordino delle province e delle città metropolitane, autonomia normativa e finanziaria, il ritorno dell’Imu ai comuni, un migliore controllo dei fondi provenienti dall’Unione Europea. È la ricetta di Delrio che propone amministrazioni come case di vetro pronte ad essere controllate e monitorate in ogni istante: “Non siamo esperti di economia come voi, – dice senza nascondere amarezza il sindaco, – ma abbiamo soluzioni semplici da proporre. Agiamo al più presto”. Sono il “cuore dell’Italia”, conoscono i problemi dei cittadini e hanno voglia di dare il loro contributo per la rinascita del paese a patto che qualcuno cominci ad ascoltarli.