La tessera del tifoso? Provoca danni. Morali per lo più. La II sezione del tribunale civile di Roma ha condannato l’AS Roma a versare a un abbonato, a titolo di risarcimento, la somma di 5.000 euro per i danni morali appunto. Il verdetto, il primo in Italia a riconoscere le ragioni dei supporter, è destinato a far discutere ma il Tribunale ha ritenuto fondata l’azione pilota promossa dagli avvocati Paolo Ricchiuto, Lorenzo Contucci e Giovanni Adami che hanno puntato il dito contro il trattamento illegittimo dei dati personali contenuti nella modulistica necessaria per avere la tessera del tifoso. Insomma una vera e propria violazione della privacy. La tessera contestata, era stata già bocciata anche anche dal Consiglio di Stato e attualmente è stata sostituita fidelity card.
“Come sanno bene i circa 700.000 abbonati alle varie squadre di serie A – hanno argomentato i tre legali – dopo le circolari dell’allora ministro Maroni e dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, dotarsi della tessera del tifoso è diventata condizione necessaria per poter sottoscrivere un abbonamento o comprare un biglietto per una trasferta. Il problema è che la Roma, come tutti gli altri club, ha associato alla tessera anche la funzione di carta di credito (seppure non attiva al momento del rilascio). Il tutto sulla base di una modulistica, praticamente identica per tutte le società, che già il Garante della privacy aveva censurato con un provvedimento generale del 2010, perché non consentiva di comprendere chiaramente che fine facessero i dati personali degli interessati, trasferiti automaticamente alle società che gestiscono le carte di credito”.
Il Garante aveva stabilito che “i supporter delle squadre di calcio che richiedono la tessera del tifoso” devono essere informati “in modo chiaro e dettagliato sull’uso dei dati personali forniti al momento della sottoscrizione”. E “devono essere messi in condizione di poter scegliere liberamente se autorizzare l’uso di questi dati anche per finalità di marketing e pubblicità”. Un parere che era stato recapitato con provvedimento in materia, datato 12 gennaio 2011, al Viminale, Coni, Figc e club aderenti al programma.
La “tessera del tifoso”, rilasciata dalla società al diretto interessato dopo l’ok della questura, contiene i dati personali del possessore, è contrassegnata da un codice alfanumerico che la identifica in modo univoco e spesso contiene un dispositivo a radiofrequenza (rfid), utilizzato solo per l’accesso agli stadi e “leggibile” ad una distanza non superiore a 10 centimetri da appositi lettori posizionati presso i tornelli di ingresso. L’Autorità nel suo provvedimento prescriveva che “le società sportive dovranno migliorare l’informativa da dare ai tifosi, mettendo ben in evidenza i trattamenti di dati che non richiedono il consenso, perché connessi al rilascio della tessera, e quelli che possono essere effettuati solo su base volontaria e con un consenso ad hoc (marketing, profilazione, invio di comunicazioni commerciali)”. Ai tifosi, infatti, deve essere “sempre garantita la possibilità di poter esprimere esplicitamente il loro ‘no’ all’uso dei dati per finalità di marketing”. Nell’informativa deve essere anche ben specificato che “i dati anagrafici dei possessori della tessera vengono comunicati alle questure allo scopo di verificare l’assenza di provvedimenti (daspo, misure di prevenzione, sentenze di condanna per reati cosiddetti “da stadio”) che ostacolino il rilascio”.