Aumentano i casi di corruzione e di appropriazione a fini personali di fondi del finanziamento pubblico, quasi ogni partito è coinvolto. La percezione diffusa è che l’Italia sia un paese ad elevata corruzione, dove servano tangenti e raccomandazioni per ottenere una licenza, per essere ricoverati in un ospedale, per essere ammessi in un corso di laurea a numero chiuso, per avere una pensione di invalidità, per ottenere l’aggiudicazione di un appalto.
La corruzione dipende da molti fattori. C’è naturalmente una questione di caduta verticale dei valori etici, e questo a sua volta dipende da ciò che si insegna nelle famiglie, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle sedi di partito, nelle associazioni e così via. Basti citare un semplice fatto. In molti paesi, il plagio a scuola è ritenuto un comportamento molto scorretto e se uno studente viene scoperto a copiare il compito da un compagno o da un testo viene punito molto duramente. Non è così in Italia. Il presidente di una importante impresa italiana si è spesso vantato in pubblico di aver copiato i compiti al liceo e all’università. Quello stesso imprenditore poi magari si riempiva la bocca di “meritocrazia” e di “concorrenza leale”.
In secondo luogo, vi è in Italia un eccesso di norme e di lacci che la pubblica amministrazione impone all’economia e al sistema e che conferiscono ai politici e ai burocrati molto potere di ricatto nei confronti di tutti gli utenti e i fornitori. La corruzione e la concussione diventano strumenti per accelerare le procedure, ma al costo di favorire i meno capaci, di creare ingiustizie, di sperare il denaro pubblico. Vi è poi il problema del livello troppo alto delle remunerazioni dei politici. E’ chiaro che se un consigliere regionale percepisce 8.500 euro netti al mese più una serie di altri benefits, se un deputato può arrivare a guadagnare 15.000 euro netti, queste posizioni attireranno un numero altissimo di faccendieri e di personaggi senza qualificazioni particolari ma assetati di soldi.
Basterebbe analizzare i curricula dei politici presenti nei consigli regionali, provinciali, nel Senato, alla Camera, al Parlamento europeo, etc. per scoprire che per lo più sono persone senza qualifiche particolari. Se si abbassassero gli stipendi, se si fissasse ad esempio lo stipendio di consigliere regionale a 2.000 euro netti, sono certo che si innalzerebbe di molto la qualità della ceto politico regionale. Resterebbero in politica quasi solo quelli motivati dagli ideali. Allo stesso modo si dovrebbe tagliare il finanziamento pubblico ai partiti. Come è possibile che solo nel Lazio i dirigenti vari partiti, di diverso schieramento, siano accusati di essersi intestati su conti personali cifre pari a 700.000 euro provenienti dai finanziamenti pubblici?
Le regole della politica favoriscono la corruzione. Sistemi nei quali i cittadini non possono scegliere, partiti verticistici, leggi che impediscono il ricambio del ceto politico sono tutti elementi che favoriscono una casta di professionisti della tangente e del furto. Ma vi è una questione più generale: negli ultimi trenta anni abbiamo assistito all’affermarsi in ogni campo dell’idea che ci sia un prezzo per qualunque cosa; abbiamo mercatizzato tutto. Si vendono ovuli e seme umano; si affittano gli uteri; si può comprare il permesso di inquinare; ci sono siti sui quali si comprano organi; si viene pagati per fare da cavia nella sperimentazione di farmaci; si vende il sangue; si stipulano contratti pre-matrimoniali; si pagano i bambini perché studino a scuola; si aumentano le tasse su chi è obeso e così via.
Si è diffusa l’idea insomma che in ogni ambito il comportamento umano abbia come unico metro di misura il denaro; che vi possa essere uno scambio, un contratto, un prezzo per qualsiasi servizio o bene. Il mercato era uno strumento di allocazione dei beni ora è diventato l’unico sistema per regolare il mondo. Forse su questo noi economisti abbiamo delle colpe e non c’è sufficiente dibattito. E’ possibile ridurre l’ambito di applicazione del mercato?