Nel solo 2011 sono cresciuti del 22 per cento, raggiungendo i 70 milioni. Ma a leggere i dati si scopre che sono soprattutto i nuovi ricchi a muoversi, visto che è modesta la spesa in alberghi o in ristoranti locali e significativa quella in beni di lusso
“Gli europei ringraziano la Cina. I turisti cinesi stanno comprando il mondo”. Questo il titolo di un articolo dei giorni scorsi del quotidiano di Guangzhou Nanfang Zhoumo. E sviluppava: la classe media e i nuovi ricchi cinesi continuano a dimostrare al mondo il loro potere d’acquisto. Vero è che sono sempre di più i cinesi che si recano all’estero: solo nel 2011 sono cresciuti del 22 per cento raggiungendo i 70 milioni. E hanno speso una cifra che si aggira sui 69 miliardi di dollari, superando del 25 la spesa dell’anno precedente. Secondo l’Istituto di ricerca China Outbound Tourism il numero dei turisti cinesi ha ormai superato quello dei giapponesi.
Le proiezioni dell’Organizzazione per il Turismo mondiale delle Nazioni Unite prospettano una Cina che entro il 2013 sarà diventata il secondo mercato del turismo mondiale e prevedono che già nel 2020 ci saranno cento milioni di turisti cinesi in giro per il mondo. Dati che trovano conferma nella crescita esponenziale delle classi medio-alte cinesi. In termini economici, oggi il turismo cinese rappresenta il 6 per cento degli incassi del mercato globale del turismo e si prevede che salirà all’8 nel 2013 e al 14 nel 2020. Cifre notevoli se si pensa che in Europa, nel 2011, si sono recati 4,3 milioni di cinesi.
Secondo il quotidiano di Guangzhou – che evidentemente non distingue tra turismo di massa e turismo di lusso – un turista cinese spende di media quasi 6mila euro se si reca in Australia, poco più di 5mila se si reca negli States e quasi 3mila euro se va in Francia. Nello stesso articolo si riporta che i turisti dell’ex Impero di Mezzo non spendono tanto in alberghi, né sperimentano le cucine locali. Ma spendono – e molto – sui beni di lusso. Questi, infatti, sono più economici se comprati all’estero e i cinesi non se li lasciano sfuggire. Anche perché, a rimborso tasse avvenuto, possono risparmiare fino al 30 per cento su quello che avrebbero pagato per lo stesso oggetto in Cina, dove questo genere di prodotti sono tassati di più proprio perché appartenenti alla categoria “beni di lusso”.
Secondo la Camera di commercio europea i cinesi sono i primi clienti dei negozi tax free tedeschi, ovvero quei negozi disponibili a rimborsare l’Iva ai cittadini non comunitari (seguono a poca distanza i cittadini russi, ma tutti gli altri paesi hanno uno stacco di quasi 20 punti percentuale). I dati 2012 raccolti da Hurun, ci dimostrano che i cinesi che vanno all’estero spendono soprattutto in prodotti “status symbol” (orologi, gioielli, cuoio, vestiti e accessori di marca) e solo meno del 10 per cento del budget viene speso in visite a luoghi d’arte e per il vitto e l’alloggio.
I grandi magazzini Printemps di Parigi segnalano che nella prima metà dell’anno in corso il 10 per cento delle entrate proviene da questa nuova ondata di turisti; sottolineano poi che ognuno di loro ha speso un minimo di mille euro. Secondo quanto riportato dal quotidiano di Guangzhou, la cosa più interessante delle boutique di Parigi è che sono molte quelle che affiggono ben in vista cartelli come duty free e chinese interpreter inside e che spesso i negozi delle marche più ricercate dagli asiatici hanno personale che parla cinese e accetta carte di credito cinesi come la Union Pay.
Anche in Italia il settore si sta sviluppando. Molto spesso nelle boutique di lusso (almeno a Roma, Milano, Firenze, Venezia) c’è personale madrelingua o che comunque parla cinese. Un operatore italiano nel settore del turismo di lusso cinese nota come, se è vero che nel turismo cinese è la parte dello shopping a farla da padrone, ci sono spese che non si possono evitare come quelle per il trasporto, l’hotel, le guide, l’organizzazione, i ristoranti e altro. Ma sono ben pochi gli alberghi e i ristoranti che offrono uno staff cinese o che rivolga ai nuovi ospiti attenzioni particolari (“banalmente una colazione di tipo asiatico, o un menu in lingua”). E certo, i turisti cinesi che sperimentano la cucina locale sono ancora pochissimi perché appartengono soprattutto alle fasce sociali più alte. “È un turismo acerbo ma di grande potenziale” – ci spiega un insider del settore – “Oggi i cinesi fanno solo shopping. Ma c’è qualcuno che offre qualcosa di diverso? È l’offerta ad essere alla base del commercio”.
di Cecilia Attanasio Ghezzi