Sofia Ventura, bolognese, docente di Scienze Politiche a Forlì: "Voglio riforme liberali radicali e rivoluzionari, altro che Monti bis". Il precariato? "Colpa dei sindacati". Grillo? "Certe sue pensate mi ricordano la Camera di Fasci". Il sindaco di Firenze: "Innovativo, nel vuoto di leadership molti elettori di destra lo voteranno"
Nel cauteloso minuetto del politically correct all’italiana, dove si può insinuare di tutto ma sembra vietato dire davvero qualcosa, intervistare Sofia Ventura (una che risponde sul serio alle domande) ha un effetto quasi psichedelico.
Bolognese, politologa, saggista e docente titolare dei corsi di Scienza Politica e di Leadership e Comunicazione Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche «R. Ruffilli» (sede di Forlì), la Ventura non è “intellettuale scomoda” per definizione, lo diventa a fronte della semplicissima pratica cui è legata: dire sempre quello che pensa.
Il punto non è la condivisibilità o meno della posizione che, di volta in volta, assume a fronte delle tematiche politiche; è il fatto che ne abbia una e liberamente la esprima, ciò che la rende “insidiosa”.
Si ricorderà come alcuni elettori (ed elettrici) dell’allora Pdl non abbiano gradito la riflessione della Ventura che, nel 2009 dalle pagine web di Fare Futuro aveva posto, dall’interno, la necessità di rivedere i criteri del reclutamento e della formazione politica. Molti hanno derubricato quell’articolo come una mera invettiva contro il “velinismo” e, come spesso accade, banalizzandone le motivazioni hanno finito per fortificarle inconsciamente.
Allo stesso modo, serpeggia, fra alcuni simpatizzanti di Bersani, una sorta di malessere a fronte dell’ultima dichiarazione della politologa riguardo le primarie del Pd. «Se Renzi si candida lo voto. Se vince e lo candidano premier, lo rivoto».
«Ma questa che vuole?» si sente mormorare fra alcuni elettori PD . Glielo chiediamo.
«Io non voglio niente. Sono vent’anni che sogno, più che altro. E aspetto. Sogno un paese più liberale, dove questo termine non sia sinonimo di “liberismo sfrenato” bensì di liberazione illuminata. Liberazione da uno stato invadente e inefficace, e da un modo vecchio di vedere, pensare e di progettare la società (quella civile e quella politica) che ha prodotto danni devastanti, corruzione e povertà. A questo punto lo scollamento fra cittadini e politica non deve stupire, ma è compito della politica ricucire quello strappo. Certo a scorrere il comportamento attuale dei partiti… ».
Facciamolo allora, questo excursus sullo stato di salute della politica italiana. La sorpresa, alle prossime elezioni, potrebbe essere Grillo; stavolta entrano – e non in pochi – in parlamento. Che succederà?
«Il movimento di Grillo è giunto ad un momento cruciale, una sorta di bivio. Il Cinque Stelle nasce dalla duplice spinta di un leader carismatico e, al contempo, una base che attivamente (costituendosi in liste “simil civiche” che si creano dal basso) mette la faccia sul territorio e si candida per la prima volta a fare politica. Una base che, fra l’altro, è capitato di vedere a tratti in frizione o quantomeno in fermento rispetto la propria “stanza dei bottoni”. I casi Favia, e in qualche modo anche lo stesso Pizzarotti, sono fotografie di questa vitalità/insofferenza. Vero è che senza Grillo il Movimento non esiste, ma lui stesso deve fare i conti con questa base che si è organizzata attorno ad un ceto politico nuovo».
Da chi è composta, secondo lei, questa nuova classe politica?
«Direi perlopiù quelle che saremmo soliti definire come le classiche persone perbene, i ragazzi che hanno voglia di fare. Al tempo stesso però, il rischio è che una fetta, in buonafede ma ingenua, di questa base rischi di subire troppo la fascinazione di questo “carisma”».
E per Beppe Grillo stesso, che insidie ci sono per lui dietro l’angolo?
«A mio avviso, il limite di Grillo è che non tiene conto della natura umana e dei problemi che possono nascere da essa. Un esempio pratico, quali sono le idee di Grillo sul parlamento e la sua organizzazione? Per viaggiare nel paradosso e nell’esagerazione, potrei dire che certe sue pensate mi ricordano la camera dei fasci e delle corporazioni. Ragioniamo un secondo sul limite dei due mandati. Mi pare inevitabile che persone capaci, che magari hanno rinunciato alla propria vita com’era prima per impegnarsi in politica, non accettino di buon grado di essere mandate a casa solo perché sono “vecchie” di due legislature. Allo stesso modo, il continuo ricambio politico non garantisce automaticamente il livello. Questa idea più a-politica che antipolitica che Grillo ha del parlamento, rischia di frustrare ambizioni legittime e pregiudicare delle competenze».
La soluzione?
«Il tempo e i comportamenti concreti. Il loro prossimo ingresso in parlamento comincerà ad offrire elementi e risposte un po’ più chiare circa la loro qualità politica. L’appetito viene a tavola e, una volta seduti in parlamento, mantenere inalterati i criteri della verginità politica diverrà più complesso. Se ci riusciranno, cosa che non escludo affatto, sarà una prova importante».
Si può parlare del Movimento Cinque Stelle senza accennare a Casaleggio?
«Pare di no. Non lo conosco personalmente, ho parlato con persone che lo hanno conosciuto. L’impressione che da queste informazioni, magari incomplete, ho potuto ricavare non si discosta da l’imitazione che Crozza ne ha fatto a Ballarò. Una sorta di guru dalla mentalità autoritaria che è convinto di aver capito che ne sarà del mondo. Non ho idea del rapporto che ci sia fra lui e Grillo, sono questioni nelle quali non entro, dico solo che un movimento guidato da queste due figure è quantomeno singolare e non riesco a capire se possa assumere una forma compatibile con ambizioni di governo. Detto questo sono convinta che se la proposta politica alternativa al Cinque Stelle non muterà radicalmente, Grillo prenderà molti voti e i suoi avversari non sperino che le questioni interne (caso Favia, ad esempio) danneggino il Movimento, tanto più che puntualmente, i casi come quello di Fiorito gli riconsegnano voti su voti».
Il Pd adesso. Si è mai chiesta perché il Pd fa le primarie quando tutti gli altri non ne sentono – diciamo così – l’esigenza?
«Il Pd fa le primarie perché si è reso conto che la sfida di Renzi era troppo pesante perché potesse venir neutralizzata semplicemente con una norma di statuto. A quel punto Bersani ha pensato: “No, apriamo la partita, facciamo le primarie così le vinco io e sono legittimato” ».
Il discorso fila se le vince…
«Eh insomma, con quelle regole un aiutino Bersani se l’è dato… Detto questo devo però riscontrare che il PD tutto sommato sta cercando – magari malamente – di fare politica e dare una risposta alla situazione attuale. Anche se in un clima di tanti non detti, Renzi incluso…».
Ad esempio?
«Partiamo dal fondo; l’idea che Matteo Renzi possa restare nel Pd se vince Bersani, e addirittura fare campagna per la vittoria del Pd, mi sembra incredibile. La vittoria alle primarie di uno o dell’altro darà al Pd una spinta in una direzione piuttosto che in un’altra. Hanno due visioni diverse della società, e se alle primarie si andrà al secondo turno, Bersani avrà bisogno dei voti di Vendola. Ce li vede lei Vendola e Renzi a governare insieme? Sono in gioco due differenti visioni dell’economia, della società e della politica, magari entrambe possono legittimamente stare sul tavolo del Pd, ma trovo quella di Renzi molto innovativa e in quanto tale, puntualmente avversata da una fetta conservatrice del partito. L’apparato del Pd è disposto a pagare in termini d’immagine pur di bloccare Renzi ».
Che differenza ci sarebbe, dal punto di vista dell’impatto sugli altri partiti, tra una vittoria di Renzi e quella di Bersani?
«La vittoria di Renzi sarebbe prima di tutto un guaio per gli avversari del centrosinistra. Avrebbe infatti un effetto interessante su una certa fetta di elettori del centrodestra e una parte di elettorato che guarda a Grillo. Il centrodestra in generale e il Movimento Cinque Stelle avrebbero tutto da guadagnare da una vittoria alle primarie di Bersani. Ma il vero tifoso di Bersani è Berlusconi…».
A proposito, lei ha appena pubblicato un saggio (“Il racconto del capo. Berlusconi e Sarkozy”, Laterza) nel quale mette a confronto i percorsi politici e le narrazioni di Berlusconi e Sarkozy; secondo lei gli italiani hanno capito in profondità Silvio Berlusconi?
“La sinistra di sicuro no, altrimenti avrebbe imparato qualcosa da lui, magari a batterlo (per esempio). Avrebbe colto gli elementi di modernizzazione che erano presenti nella sua proposta politica e nella sua comunicazione (senza giudicarla semplicemente constatandone l’efficacia). Per una parte di italiani Berlusconi ha rappresentato il male assoluto. Per altri invece è quello, ad esempio, grazie al quale per la prima volta siamo andati a votare sapendo che sceglievamo un governo piuttosto che un altro. Poi, certo, erano governi frammentati ma non è il bipolarismo in sé ad essere un male, è come l’abbiamo declinato noi. Io trovo che la sinistra e anche una parte del centro destra (diciamo la politica più tradizionale) non abbiano compreso la capacità di Berlusconi di fotografare e rispondere a richieste presenti nella nostra società, completamente trasformata rispetto agli anni Cinquanta”.
Berlusconi si è mostrato all’italiano medio come uno di loro?
“Sì, ma con delle capacità maggiori, ha parlato a quelli che in fondo vogliono una casa, andare in vacanza, avere i soldi per andare ogni tanto al ristorante senza aver per loro, quel sottile disprezzo che certe ambienti intellettuali ma anche politici, chiaramente provavano. Ha compreso che le grandi ideologie non riuscivano più ad essere trainanti e si è rivolto ai bisogni e alle richieste di una grande fetta di persone. Ma questo non lo ha compreso scendendo in politica, bensì quando divenne imprenditore immobiliare e fondò le sue televisioni (che per inciso a me non piacciono, ma non ritengo che gli altri non debbano guardarle). Se invece la sua domanda era: “Abbiamo compreso quanto era brutto, sporco e cattivo Berlusconi?” Credo che i suoi difetti siano evidenti e il lato negativo di Berlusconi credo che sia abbastanza nitido, non è un uomo che si nasconde, a partire dalla sua fisicità. Si tratta di un uomo che ha imparato tanto nella vita ma ha smesso di imparare quando è sceso in politica, e questo il suo mostrarsi non politico, che all’inizio pagava così tanto, e lo scetticismo verso chi faceva politica di professione si è rivelato un limite. Esaurire la politica con l’attività del manager e applicare le dinamiche aziendali alla stessa è stato un suo errore».
Chi vede come leader del Pdl?
«Alfano mi pare l’unico proponibile ma fino ad ora non ha mostrato grande coraggio. Non so se lo tirerà fuori, o se davvero non ce l’ha. Ma il fatto che ci sia solo lui è un altro fallimento di Berlusconi che non ha consentito che il suo partito crescesse e costruisse una classe dirigente con più personalità. Non è questione di valore personale ma di leadership, e nessun leader è emerso eccezion fatta per alcuni esponenti di livello locale, sui quali lui esercitava meno controllo».
E nel resto della sinistra cosa accade?
«Accade che Di Pietro non lo vogliono più in coalizione, e mi sembra che a sinistra non ci sia altro. Renzi, Bersani e Vendola. Piuttosto anche il mondo del lavoro deve fare la sua parte…».
Cioè?
«Io ricordo una copertina dell’Espresso che recitava “Sindacatocrazia”. Il sindacato dovrebbe ripensarsi completamente e smetterla di comportarsi come partito politico, soprattutto penso a Cgil e Fiom, e come un’organizzazione che tutela sostanzialmente i propri interessi. Ci si scandalizza per certe pensioni e certi stipendi dei dirigenti nel settore pubblico, vogliamo dire che prima alcuni di questi facevano i sindacalisti? Ma come, non c’è un conflitto in tutto questo? La Cgil ad esempio, mi sembra legata all’idea vecchia di società per la quale ancora esistono “lavoratore” e “lavoro” come entità disincarnate e quindi non biologiche, scollegate dalla realtà. Il lavoratore in tuta blu, maschio e capofamiglia che porta a casa i soldi esiste ma non è più la figura predominante cui fare riferimento per parlare di lavoro, in quasi tutte le famiglie, per fare un esempio, si lavora in due».
E il precariato? Cosa stiamo facendo per quei giovani che ci sentono parlare di pensioni ma non ne avranno una?
«Anche qua serve uno sguardo nuovo al problema. Sento che si prova a ragionare di precariato, benissimo. Ma cominciamo intanto a fare chiarezza, questo è un dramma che si è stato creato negli anni e devo dire con grandi responsabilità da parte di Democrazia Cristiana e sindacati stessi. Se ragionando in un certo modo abbiamo creato un problema, forse è il caso di ragionare diversamente no? »
Il problema è quindi rapportarsi al presente e ripensare le strategie?
«Sì, anche se devo dire che, a fronte di questi sguardi arcaici al mondo del lavoro, noto accelerazioni di modernità che però si bloccano bruscamente. Ad esempio una donna come la Camusso, certamente di grandi capacità, ha molta attenzione per la comunicazione, ha pure cambiato immagine, però si comporta come leader politico e non come un sindacalista. E poi, per tornare al discorso di prima, non vedo nei suoi comportamenti una soluzione davvero efficace per i precari o i disoccupati che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Certi atteggiamenti dei sindacati dunque, mi pare difendano un modello che anche agli occhi di un bambino non è funzionante, e mentre loro fanno gli ideologi le imprese se ne vanno via».
E infine, ma non infine, c’è Casini.
“Che come al solito fa un po’ il “furbo” e si propone come la lista Monti, anche se io non ho visto Monti fare salti di gioia. Ma occhio ad alcune realtà di questa area che potrebbero movimentare la scena, penso a “Fermare il declino” , “Zero positivo” e “Italia futura”. Ma ciò che io mi domando è se davvero non siamo grado di dare una risposta politica, vera, a questa situazione”.
Dov’è la classe politica?
“Dopo la crisi della prima repubblica e la decapitazione delle prime file di una classe politica, sono purtroppo avanzate le terze e le quarte di essa, manco le seconde. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Si diceva che le grandi riforme avrebbe potuto farle solo Monti grazie alla tecnicità del suo governo, ma non è andata così, non ci sono riusciti al primo giro al culmine del consenso popolare, figuriamoci ad un eventuale secondo…”.
Se ci sarà il Monti bis che succederà?
«Ci sarà un governo meno tecnico rispetto quello di oggi, ancora più dipendente dai partiti. Non credo che un Monti bis avrà la capacità di dar vita a quelle riformi radicali e rivoluzionarie di cui avremmo bisogno, e ci ritroveremmo gli stessi limiti e briglie cui è andato in contro il precedente governo tecnico. Il Monti bis sarebbe solo un modo per rallentare il nostro declino. Anzi, più che un modo, un’illusione».