Dopo 14 anni dall’inizio della guerra dei Balcani e 22 da quello della guerra del Golfo siamo ancora a chiederci come mai alcuni dei soldati che hanno servito e che stanno ancora servendo anche solo in missioni di pace, ritornando, si ammalano di patologie tumorali ed alcuni ne muoiono. Il fenomeno, purtroppo, non è finito con la fine delle guerre.
L’articolo di Vittoria Iacovella “Vaccinazioni sbagliate e fatte male dietro i tumori dei soldati italiani” pubblicato da Repubblica identifica nella somministrazione non idonea (multipla e ravvicinata nel tempo) dei vaccini ai soldati la causa di queste patologie in soldati giovani ed in buona salute.
Fino a poco tempo fa il killer era la radioattività dell’Uranio impoverito, ora sono i vaccini.
L’esposizione alle radiazioni dell’Uranio impoverito erano state ipotizzate quali origine delle malattie pure da giornalisti dopo la fine della guerra dei Balcani. Questo avrebbe dovuto spiegare l’insorgere di casi di soldati che sviluppavano linfomi, leucemie e altri tipi di cancro dopo la missione di pace cui avevano partecipato. Avendo alcuni giornalisti saputo che l’esercito americano aveva sganciato nei Balcani bombe all’Uranio impoverito e ricordandosi di Hiroshima e Nagasaki bombardate con la bomba atomica e investite da alte concentrazioni di radioattività, avevano dedotto che ci fosse una correlazione con le patologie.
Questa informazione comunicata attraverso i media è stata percepita come credibile fino, a volte, a diventare verità accettata come scientifica.
Peccato che le misure di radioattività oggettive eseguite nei Balcani e nel Poligono militare sardo di Quirra (ora sotto inchiesta per le patologie degli abitanti della zona) abbiano smentito questo assunto. Di fatto non è stata misurata una radioattività allarmante e, a volte, non si è rilevata alcuna radioattività che debordasse da quella che è la norma planetaria. Perfino la Commissione monocamerale “Uranio impoverito” ha cancellato questo concetto dal suo titolo e ora fa riferimento “ad agenti patogeni”.
L’articolo della Iacovella sposa con un certo entusiasmo l’ipotesi dei vaccini (si veda anche http://autismovaccini.com/2012/10/08/scienziatiociarlatani/) ma non spiega come mai anche la popolazione civile, ad esempio quella di Sarajevo, abbia sofferto durante e dopo i bombardamenti e ancora adesso soffra di queste e di altre patologie di cui pare non si voglia tenere conto nonostante la loro diffusione. La giornalista non mette in evidenza come anche attorno al Poligono di Quirra ci siano pastori, e nemmeno pochi, se si considera la scarsità della popolazione, morti di leucemia. Se ci s’informa, si scopre che queste persone non hanno mai subito vaccinazioni, multiple o singole che siano, se si eccettuano, magari, quelle ricevute nell’infanzia.
Quindi, l’articolo che non presenta nessun prova per la validazione dell’assunto rimane un esercizio di letteratura giornalistica che non ha nulla di scientifico. Purtroppo, però, piuttosto spesso quando i media s’impossessano di un’informazione non la verificano più di tanto e, soprattutto, rimangono estranei ad un suo collocamento in un contesto solidamente scientifico o, più in generale, logico. Però, un po’ alla Goebbels (“ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”), la diffusione del mezzo di comunicazione fa diventare un assunto, per palesemente infondato che sia, quello che è percepito come realtà. Eppure, basterebbe semplicemente osservare le incongruenze per smontare le tesi.
Per capire le patologie dei soldati, dei giornalisti al seguito, degli operatori umanitari e della popolazione civile, anche quella attorno ai poligoni di tiro, occorre chiedersi: qual è il fattore comune di tutti questi luoghi? Un’ipotesi più concreta e verificabile fa riferimento alle polveri “belliche“ che in tutti questi luoghi si sprigionano a causa dell’esplosione di bombe ad alta tecnologia comprese quelle all’Uranio impoverito, al Tungsteno e quelle ancor più moderne. L’alta temperatura di combustione (più di 3.000°C) aerosolizza i materiali della bomba e del bersaglio. La piccolissima dimensione, spesso a livello nanometrico, fa sì che queste polveri con una composizione chimica nuova, una volta inalate o ingerite, superino tutte le barriere fisiologiche ed entrino anche nelle parti per altri versi più protette del corpo umano e lì, accumulandosi, possano estrinsecare la loro tossicità. La verifica dell’assunto è semplice: ritrovare queste polveri con la chimica “strana” all’interno dei tessuti patologici. Ebbene, con l’ovvia eccezione di patologie da origini diverse, nel 96% dei casi le nanoparticelle si ritrovano. Queste pallottole invisibili vengono identificate, fotografate ed analizzate chimicamente e le prove della loro patogenicità sono scientificamente disponibili, e non solo scientificamente ma anche giuridicamente (si vedano, ad esempio, le leggi che limitano la concentrazione delle cosiddette polveri sottili). Dall’altra parte, quali prove oggettive ci siano a carico dei vaccini resta tutto da illustrare. E’ vero le nanoparticelle sono meno romantiche dell’Uranio impoverito e meno fantasiose dei vaccini, ma sono reali, visibili ed estremamente tossiche essendo costituite di metalli pesanti, elementi già riconosciuti dalla tossicologia corrente come agenti cancerogeni. In più, si tratta di corpi estranei, e da qualche millennio la Medicina sa che un corpo estraneo non biodegradabile inserito nell’organismo innesca effetti deleteri.
Tutto questo non certo per assolvere le pratiche vaccinali. I vaccini che fanno parte della pratica medica di prevenzione (vedi vaiolo, poliomielite ecc.), e che sono verificati secondo standard definiti dalle autorità sanitarie, hanno nel tempo dimostrato che possono dare origine ad eventi avversi. Sicuramente vaccinazioni multiple ravvicinate interferiscono con le difese immunitarie e, per di più, non effettuandosi verifiche sanitarie sul soggetto candidato alle vaccinazioni, in questo modo si resta all’oscuro della sua potenziale capacità di reggere l’assalto di una serie di malattie “simulate”. Il che non significa, però, che i vaccini siano necessariamente i responsabili di tutti i mali del mondo e può ragionevolmente accadere che questi non c’entrino con qualche guaio.
Se si vuole arrivare a un obiettivo virtuoso, la scienza e i media devono stringere un’alleanza, perché solo così si possono cominciare a mettere in atto forme efficaci di prevenzione per tutti: per i soldati, per i civili che vivono in zona e per i giornalisti stessi che vanno sui teatri di guerra. Da ultimo, un’ulteriore prova di quanto sia inconsistente l’ipotesi dei vaccini: delle patologie dei militari si possono ammalare anche le loro compagne per trasmissione sessuale di particelle finite nel liquido spermatico. Nessuno lo dice ma la guerra, per missione di pace che sia, può entrare anche in casa a tanti chilometri di distanza.