Un indiano qualsiasi, costretto ad elencare con la mano sul cuore i mali del suo Paese, oggi senza dubbio metterebbe in cima alla lista la corruzione, il cancro atavico della seconda nazione più popolosa al mondo. Un gigantesco fardello che impedisce al miracolo economico indiano di decollare definitivamente che lascia l’India ad arrancare dietro la locomotiva cinese. Per questo il movimento che si batte contro la corruzione diventerà un partito. E promette che la norma sarà preparata in due settimane.

Anna Hazare, uomo-simbolo di “India against corruption”, assieme a centinaia di migliaia di manifestanti ha ripetutamente chiesto al governo di approvare il Lokpal Bill, una legge anti corruzione che permetterebbe ad un organo istituzionale indipendente di indagare e perseguire per legge tutti gli esponenti degli uffici pubblici del Paese, dal funzionario locale al primo ministro. La campagna di Hazare non è riuscita ad ottenere alcun risultato e la legge non ha passato il vaglio del parlamento. Sfaldato per dissidi interni, l’esperimento “dal basso” di Iac ora risorge grazie ad Arvind Kejriwal che lo scorso 2 ottobre – in occasione della festa nazionale per il compleanno del Mahatma Gandhi – ha annunciato la formazione di un nuovo partito. Il nome verrà deciso tra due mesi, selezionando le proposte ricevute dalla base del movimento, ma l’agenda politica è molto chiara: approvazione della legge anti corruzione in 15 giorni e lotta senza quartiere ai corrotti della politica indiana. Un’impresa molto pretenziosa e decisamente populistica, ma che in mezzo alla decadenza della politica indiana riscuote ogni giorno sempre più consensi, attingendo alla rabbia dell’aam admi, l’uomo comune tradito dalla peggiore classe politica dall’Indipendenza ad oggi. 

La cultura della mazzetta è diffusa e trasversale: si pagano i funzionari pubblici per sbrigare le pratiche più elementari, dalla richiesta del passaporto alla “ratio card”, il documento che permette ai più poveri di comprare beni di consumo primari a prezzi agevolati. Si olia il responsabile della compagnia telefonica locale per allacciarsi alla rete nazionale. Se si vuole aprire un’attività o comprare una licenza per la rivendita di alcolici, la bustarella è obbligatoria, come del resto la polizia non disdegna un contributo economico spontaneo per chiudere un occhio davanti ad infrazioni lampanti. Salendo la piramide sociale si approda ai mega scandali della classe politica, finalmente di dominio pubblico grazie ad un puntuale lavoro di media locali e attivisti della società civile.

All’inizio dell’anno esplose il cosiddetto “2G scam”. Nel 2008 l’allora ministro delle Telecomunicazioni A. Raja assegnò 122 licenze telefoniche per operare sul territorio indiano al prezzo stracciato di 1,8 miliardi di dollari. Due anni dopo le licenze per il 3G fruttarono alle casse di Delhi 14 miliardi di dollari. Raja era a capo di un enorme giro di mazzette costruito attorno alla svendita delle licenze telefoniche, una frode che costò all’erario 40 miliardi di dollari. Dopo soli sei mesi di carcere, a Raja è stata accordata la libertà su cauzione, a patto che non avesse più alcun contatto col Ministero delle Telecomunicazioni indiano. Ad agosto è stata la volta del “coalgate”, la distribuzione di permessi per lo sfruttamento delle risorse minerarie indiane senza una regolare asta pubblica. Tra il 2004 ed il 2009, secondo il Comptroller and Auditor General of India (Cag, la Corte dei Conti indiana) le licenze per l’estrazione di carbone accordate a prezzi irragionevolmente bassi a società pubbliche e private risultarono in una perdita ai danni dello Stato di 154 miliardi di euro.

Da quest’estate le accuse stanno investendo una serie di politici di primo piano sia della United Progressive Alliance (Upa), la coalizione di governo guidata dal National Indian Congress (Inc) di Sonia Gandhi, sia del Bharatiya Janata Party (Bjp), partito conservatore hindu attualmente all’opposizione. Manmohan Singh, premier indiano dell’Inc, nel mese di maggio ha dichiarato che abbandonerà l’attività politica se risulterà colpevole di corruzione. Le indagini sono ancora in corso. Ultimo caso, scoperchiato due settimane fa dall’attivista Arvind Kejriwal, riguarda invece Robert Vadra, genero della presidentessa dell’Inc Sonia Gandhi. Stavolta la truffa ai danni dello Stato riguarda la compravendita di terreni. Vadra nel 2008 aveva comprato 3,53 acri di terreno nello stato dell’Haryana per 1 milione di euro. Quattro anni dopo Vadra rivende lo stesso terreno alla società di costruzioni Dlf Universal per oltre 8 milioni di euro, prezzo gonfiato per accordare a Vadra un “prestito” sospetto. Noccioline, rispetto agli scandali precedenti, ma il fatto che Vadra sia in effetti “uno dei Gandhi” sta dando enorme risalto all’inchiesta che coinvolge i Kennedy del subcontinente, che ancora devono rispondere delle accuse di fondi illegali depositati presso la Swiss Bank, per un totale di 2,06 miliardi di euro. La serie di scandali smascherati nell’ultimo anno ha contribuito a far crollare la fiducia della popolazione nella politica e nei politici, alimentando lo straordinario movimento di India Against Corruption (Iac) che l’anno scorso ha invaso le strade del Paese con sit in e scioperi della fame.  

di Matteo Miavaldi

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