La polemica che si è sviluppata sulla cena grazie alla quale Matteo Renzi ha raggranellato un cospicuo gruzzoletto fra esponenti del mondo della finanza milanese mi sembra davvero divertente ed istruttiva.
In primo luogo perché getta una luce veritiera sia sulla realtà che sull’ideologia del rottamatore. Pare che egli abbia testualmente affermato quanto segue: “Se uno non vuole parlare con tutti coloro che utilizzano il diritto delle Cayman, del Lussemburgo e dell’Irlanda, va a finire che non parleremo con quelli che ci comprano i nostri titoli di stato”. Parole davvero considerevoli. In primo luogo perché fanno luce su chi sono i veri detentori del debito pubblico italiano: gli squali internazionali della finanza con base nei luoghi citati e non già, come si affannano a mentire i patetici mentori del neoliberismo, i “poveri risparmiatori”. In secondo luogo perché fanno luce sulle invero scarse idee presenti nel cervello del rottamatore, il quale si candida a degno successore del banchiere Monti all’insegna del “dialogo” con la finanza. Un “dialogo” già cominciato da tempo e che ci ha portato in questi anni al collasso delle istituzioni civili in buona parte dell’Europa. E’ quindi prevedibile, ma già si sapeva, che Renzi, se arriva al governo, rottamerebbe con entusiasmo semigiovanile quanto resta dello Stato sociale, dei servizi pubblici e dei beni comuni in Italia, dedicandosi allo smantellamento e alla privatizzazione ad oltranza degli stessi, in ossequio per l’appunto ai diktat del capitale finanziario.
Ma anche divertente. Perché la situazione paradossale conseguente alla cena spinge addirittura a solidarizzare con Bersani, minacciato di querela ed azione legale perché avrebbe, ma lui smentisce, definito “bandito” uno dei partecipanti alla cena medesima. Bersani si butta, come Totò, a sinistra, intanto perché ha intuito (finalmente!) che la gente è stufa delle politiche alla Monti . E poi perché il capitale finanziario ha oggi trovato in Renzi, di fronte allo spappolamento della destra e allo scarso seguito dei numerosi leaderini del centro, quello che con ogni probabilità sarà il suo principale candidato a governare il nostro disgraziato Paese.
E’ chiaro a tutti che Bersani non ha alcun progetto alternativo a quello di Monti, che ha fatto nascere e tuttora sostiene a spada tratta. E’ tuttavia interessante che il rapido evolversi della situazione lo spinga a polemizzare con il capitale finanziario, anche se sappiamo che, a parte qualche banalità di buon senso, mai potrà portare tale polemica fino in fondo con le scelte oggi dovute per uscire dalla crisi: ripudio del debito, o almeno seria trattativa sullo stesso, e neutralizzazione della finanza con uso delle levi fiscale e normativa. Sembra trattarsi quindi in ultima analisi di una sceneggiata pre-elettorale senza prospettive reali, dovuta in parte, come accennato, alla consapevolezza che il clima comincia a cambiare nel Paese e in parte a un riflesso di autoconservazione di fronte alle velleità rottamatrici di Renzi che esprimono in fondo il desiderio del potere finanziario di prendere direttamente in mano le redini dell’Italia senza dover passare attraverso la mediazione di un ceto politico mediocre che in parte, specie la sua propaggine di destra, si sta autodistruggendo. A questa stessa preoccupazione risponde a ben vedere il pur tardivo pensionamento di taluni dinosauri della politica italiana, evidentemente imposto da Bersani per togliere a Renzi una delle sue armi principali, la polemica, in sé non sbagliata, contro il vecchiume dei notabili del PD.
Renzi, però, va ben al di là della retorica nuovista che gli serve come specchietto per le allodole per catturare qualche giovane giustamente esasperato dall’immobilismo e dalle gerontocrazie ma anche alquanto sprovveduto, probabilmente non solo per colpa sua. Egli si configura come il vero e proprio cavallo di Troia all’interno del PD e del centrosinistra del capitale finanziario, dei poteri forti in genere, e delle varie congreghe centriste. E si atteggia quindi ad autentico successore di Berlusconi, il che spiega il forte interesse di settori della destra nei suoi confronti.
Le primarie del PD, unico partito apparentemente sopravvissuto (ma le elezioni stabiliranno in che precisa misura) all’attuale terremoto della politica italiana, verranno quindi a costituire uno snodo fondamentale. Chi vincerà non sappiamo. Quello che è certo è che non emergerà, quali che ne siano gli esiti, alcuna alternativa seria all’attuale vicolo cieco in cui le politiche di Monti stanno portando il nostro Paese. A meno che non si vada configurando, fuori dagli attuali schieramenti, qualcosa di nuovo.