“Nel libro di David Lane è stato legittimamente esercitato il diritto di critica”, quindi l’appello di Silvio Berlusconi è stato rigettato. E’ la decisione presa dalla Corte d’Appello di Roma, sezione I, che ha respinto l’azione del Cavaliere nei confronti della casa editrice Laterza e del corrispondente italiano per l’Economist, autore del volume ‘L’ombra del potere‘. Con la decisione dei giudici, si chiude una vicenda iniziata nel 2005, quando l’ex presidente del Consiglio aveva citato in giudizio per diffamazione Lane e gli Editori Laterza chiedendo al Tribunale di Roma la liquidazione di oltre un milione di euro di danni morali. Nel suo libro, David Lane ha ricostruito vicende di politica, affari, corruzione e mafia degli ultimi decenni sulla base di una ricca documentazione.
Nella fattispecie, l’appello è stato rigettato dalla Corte d’Appello di Roma, Sez. I, con sentenza n. 4567 del 24 settembre, “per difetto dei suoi presupposti”. Nella precedente sentenza il Tribunale di Roma aveva, a sua volta, rigettato la richiesta di risarcimento del danno che lo stesso Berlusconi avrebbe patito a seguito della pubblicazione del libro. Per il Collegio, infatti, nel libro di Lane “il diritto di critica è stato legittimamente esercitato avendo rispettato i suoi tre connotati fondamentali: verità dei fatti esposti, continenza ed interesse pubblico”. “Non è vero peraltro – ha spiegato la casa editrice Laterza in una nota – che l’autore abbia voluto volontariamente diffamare Silvio Berlusconi. Anzitutto titolo, grafica e copertina non costituiscono ‘dileggio’ dell’onorevole Berlusconi, ma al contrario ‘preparano il lettore ad un testo critico nei confronti del potere dallo stesso rappresentato ed esercitato'”.
Non solo. Citando la sentenza, la storica azienda barese ha precisato che “le singole affermazioni ritenute diffamatorie perdono tale connotazione se valutate unitariamente all’interno dell’esposizione narrativa anche perché alcuni fatti citati riportano ‘episodi veri o a lungo dibattuti ed esposti dai mass media ed in campo istituzionale, tanto da rientrare nella verità putativa’. Del resto, conclude il Collegio, ‘non deve stupire che la critica si rivolga all’operato di coloro che ricoprono cariche pubbliche ed istituzionali, soggetti all’interesse ed alla lente di ingrandimento dei mezzi di comunicazione di massa‘ con la conseguenza che la critica al loro operato ‘deve essere, a priori, da costoro maggiormente accettata, rispetto a chi svolga funzioni di minor impatto per l’interesse pubblico’”.