L’ultima tegola è arrivata da La Perla, storico stabilimento bolognese. “Tra pochi giorni ci comunicheranno il nuovo piano industriale, ma i manager già prospettano un taglio di 300 lavoratori“. A parlare è Giacomo Stagni, segretario bolognese della Filctem-Cgil. Stagni ha annunciato un pacchetto di otto ore di sciopero, ma la situazione dell’azienda, un tempo leader nel settore dell’intimo, è sempre più difficile, con problemi nel pagare i fornitori e difficoltà a rilanciarsi su un mercato sempre più asfittico.
Una crisi senza fine, quella iniziata nel 2009. Una crisi che sta mettendo silenziosamente in ginocchio la via Emilia e che non sembra voler risparmiare nessuno. Solo a settembre l’Inps ha registrato 62 milioni di ore di cassa integrazione su tutta la regione. Da inizio dell’anno sono stati 15 mila lavoratori messi in mobilità e 100mila domande di disoccupazione ordinaria. La cassa integrazione invece ha subito un balzo del 62% rispetto allo scorso anno. Tant’è che anche il numero uno delle tute blu Fiom ha usato la parola “dramma”. “Le cose non potranno che peggiorare – spiega Bruno Papignani, segretario regionale dei metalmeccanici Cgil – Ne usciremo con un livello occupazionale molto più basso di quello attuale. Per chi perderà il lavoro sarà davvero la disperazione”. Poi l’ammissione quasi sconsolata di difficoltà che sembrano insormontabili: “Purtroppo manca la rabbia degli operai, e quando viene espressa è solo individuale. Anche Bologna non è più l’isola felice di una volta, dove la disoccupazione quasi non c’era. Ora è una città silenziosa, e in crisi come tutte le altre”.
I dati li fornisce Giordano Fiorani, della Fiom bolognese: 15 mila operai metalmeccanici in questo momento non stanno lavorando. Su 60mila tute blu è il 25%. Come dire: uno su quattro in cassa integrazione. “Non vediamo inversioni di tendenza – spiega Fiorani – Nei prossimi 12 mesi finiranno gli ammortizzatori sociali e migliaia di lavoratori si ritroveranno senza reddito. Una situazione che diventerà esplosiva perché dal dopoguerra ad oggi c’è sempre stata crescita. Invece qui abbiamo una massa persone tra i 40 e i 50 anni che rimarranno a reddito zero, senza tutele e senza speranza di trovare un lavoro. Per uscirne abbiamo proposto i contratti di solidarietà, ma per ora nessuno ci sta ascoltando”. “Le ristrutturazione ormai le abbiamo già fatte, e così pure i prepensionamenti – spiega Marino Mazzini della Cisl – In questo momento assistiamo molti lavoratori che magari non hanno ancora perso il lavoro, ma che non sono più pagati da 3 o 4 mesi perché le loro aziende hanno finito i fondi”.
A Bologna oltre a La Perla a rischio c’è la Breda Menarini, che ha esaurito le commesse e che resta appesa alle decisioni dei manager di Finmeccanica. E poi ancora la multinazionale Otis, che ha appena annunciato 90 licenziamenti e lo spostamento della produzione in Spagna. Per non parlare delle aziende che ormai hanno definitivamente chiuso i cancelli, come l’Itc che confezionava gli abiti per Ferrè, la Bv-Tech, e la Malaguti, una storia quasi centenaria sparita nel nulla. “Il settore del motociclo, Motori Minarelli su tutti, sta collassando”, spiega Mazzini. E anche dove l’azienda è riuscita a sopravvivere, i tagli sono stati drastici: è il caso della Verlicchi, con quasi la metà degli operai lasciati a casa.
Difficile avere dati precisi a livello provinciale. A Parma ci hanno provato e ora si stanno mettendo le mani nei capelli. “In provincia tra luglio e settembre abbiamo avuto in tutto 12mila contratti di lavoro dipendente, contro i 17mila dello stesso periodo 2011 – spiega Fabrizio Ghidini, segretario confederale della Cgil locale – Se sommiamo il dato alle previsioni della Camera di Commercio, che annunciano un calo di oltre 700 unità tra servizi e industria, si arriva a meno 40% di assunzioni”. Non si salva nessuno salvo il settore chimico e chi esporta all’estero. Calma piatta anche nell’alimentare, che a differenza degli altri anni non sta facendo volata verso le abbuffate di Natale. Ma per ogni 10 aziende contattate, ormai solo una dichiara di volere assumere. Le altre restano alla finestra, con un portafoglio ordini di appena un mezze e mezzo.
Non è una situazione che riguarda solo la via Emilia. Spostandosi di pochi chilometri si arriva a Ferrara, dove la Berco (gruppo ThyssenKrupp), che occupa 2500 persone, è da tre anni in cassa integrazione per ristrutturazione. “La trattativa per la vendita a un fondo finanziario si sta incagliando – spiega Mario Nardini della Fiom Cgil – La produzione negli ultimi mesi ha visto una flessione, le cose vanno male come nel 2010. Se l’azienda non si rialzerà nella migliore delle ipotesi ci saranno centinaia di licenziamenti. Nella peggiore la chiusura completa della fabbrica”.