“Chi? Certo, Caliendo, mi ha pure querelato…”. Sembra una segreteria telefonica la risposta data dai giornalisti che si sono occupatati delle cronache di P3. Interpellati per un’opinione sull’ultima proposta liberticida infilata nel ddl sulla diffamazione, noto come emendamento anti-Gabanelli e che scarica sul giornalista il peso economico delle querele, l’attenzione va subito al suo firmatario. Cioè il senatore del Pdl Giacomo Caliendo che, dopo aver ritirato la proposta in commissione, è intenzionato a ripresentarla in aula, forte del fatto di avere buona parte del Pdl e della Lega dalla sua.
“Il complesso delle norme è per esaltare la professione dei giornalisti”, ascolta l’audio dell’intervista
Buona parte dei giornalisti che si sono occupati della P3 – l’associazione denunciata per violazione della legge Anselmi, secondo la definizione della procura di Roma, o altrimenti nota come combriccola di “pensionati sfigati”, secondo Silvio Berlusconi – hanno dovuto per dovere di cronaca scrivere anche dell’allora sottosegretario alla Giustizia coinvolto nello scandalo. E beccarsi una querela.
Se ne occupa l’Unità, denunciata, la Repubblica, denunciata, il Fatto Quotidiano, denunciato, Editori Riuniti (a firma del sottoscritto), denunciati. Gli altri cronisti non lo ricordano, all’Espresso hanno perso il conto, e non lo escludono. “Sai com’è, quella di denunciare è diventata una così una prassi che non ci si bada più”, spiegano dal Corriere della Sera: “Data la mole di querele se ne occupa direttamente l’editore, altrimenti non avremmo il tempo di lavorare”.
Qui balza agli occhi il primo effetto della proposta: impedisce di fatto che il giornalista continui a fare il suo mestiere. Se si lascia al giornale la rogna di rispondere alla querela, si può continuare a lavorare e raccontare gli altri fatti. Ma una volta approvata la norma Caliendo, i cronisti dovrebbero spendere le loro giornate tra decine di pagine di carta bollata, repliche, controdeduzioni, menzioni di sentenze precedenti e perdersi nelle cancellerie dei tribunali. Oltre al tempo, il denaro: pagare il proprio avvocato e in caso di sconfitta risarcire un danno di immagine. E, cosa spesso più onerosa, pagare la parcella degli avvocati della controparte.
Insomma, un refuso e ti giochi la casa, quando ce l’hai. Allora, addio cronaca, fatti e inchieste. Spazio alle carinerie, dolci interviste e lusinghe al potere. Caliendo, però, sembra addirittura prendere le distanze dal proprio provvedimento, perché incompleto: “Io ho proposto un sistema di rettifica che, se applicato, prevede la non punibilità per il giornalisti. Purtroppo, non è stata ancora accolto. Provvederò”, diceva prima di ritirarlo.
I primi imbavagliati sarebbero gli inviati di Report che senza la tutela della Rai si troverebbero nuovamente nel tritacarne di cause milionarie, da qui il nome di anti-Gabanelli. Ma la norma può facilmente definirsi anti-cronisti, visto che metterebbe nelle stesse condizioni di difficoltà tutti gli altri giornalisti, una volta privati della difesa del proprio editore.
Immaginate un redattore, magari un collaboratore pagato a pezzo, che deve affrontare da solo non un leader di partito, l’amministratore di una banca o di una multinazionale o più semplicemente un boss della malavita oggetto del suo articolo, ma i loro prestigiosi e prezzolati avvocati. Basta guardare un paio di parcelle per valutare la portata della minaccia. Semplici querele che si trasformano in armi di distruzioni di stampa. Il provvedimento, infatti vuole rendere nullo qualsiasi patto che scarichi sull’editore il peso delle denunce.
Se la scelta è evidentemente inopportuna, non più congeniale è che a proporla sia stato il senatore ed ex magistrato Caliendo: che della querela sembra aver fatto il suo strumento privilegiato di comunicazione con i giornali. Dalle querele si capisce che in un modo o nell’altro, quello che duole è sempre lo stesso callo, il passato. Il Caliendo politico, di origini campane, inizia la sua carriera politica nel 2008, alla tenera età di 66 anni.
Eletto senatore in Lombardia con il Popolo della libertà, porta in dote la sua lunga esperienza in magistratura e da ex sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione entra nel governo Berlusconi come sottosegretario alla Giustizia. Delle vicende del suo passato la stampa aveva perso memoria. Fino a quando il suo nome non compare ripetutamente nelle carte della procura di Roma sull’inchiesta P3 che mette al setaccio frequentazioni e telefonate di Arcangelo Martino, Pasquale Lombardi e Flavio Carboni.
Quest’ultimo, recordman per numero di scandali nazionali in cui è stato coinvolto, costringe i cronisti a uno sforzo di archivio di oltre trent’anni, rimaneggiare le carte dello scandalo P2 e sfogliarsi le pagine sull’omicidio Calvi. Dal passato di Carboni a quello di Caliendo il passo è breve: entrambi compaiono nelle relazioni dalla Commissione Anselmi. E la storia torna di attualità. Accade.
Nel relazione parlamentare sulla Loggia P2 Caliendo è citato in una testimonianza del 1981, quando l’allora Procuratore Generale di Milano Carlo Marini riferisce di aver subìto pressioni nella gestione del processo Calvi, allora presidente del Banco Ambrosiano accusato di esportazione di capitali illeciti. Raccontava Marini che quando gli arrivò il caso per il quale doveva decidere a chi assegnare il fascicolo ricevette una telefonata dal vicepresidente del Csm Zilletti (accusato di voler proteggere Calvi) con cui lo pregava di adottare la massima cautela e gli comunicava di avergli inviato per lo stesso motivo un suo messaggero, il componente del Consiglio, dottor Giacomo Caliendo.
Nulla di male, scrivono oggi i suoi legali: “Il dott Caliendo ha effettuato semplicemente una visita al dott. Marini, su invito del vicepresidente del Csm prof. Zilletti, avente ad oggetto esclusivamente un invito alla cautela nella assegnazione del procedimento penale in questione. Procedimento del quale l’esponente non sapeva nulla: non conosceva neppure il nome dell’imputato o degli imputati”.
In pratica, Caliendo era andato nell’ufficio del procuratore che si stava occupando di Calvi per offrire suggerimenti, ma non sapeva per quale motivo lo stesse facendo. Curioso sapere che un membro del massimo organo della magistratura se ne andasse in giro per l’Italia a suggerire a colleghi come trattare i processi, singolare poi apprendere che il suggeritore non avesse neanche idea dell’oggetto del processo e di chi fossero i suoi protagonisti.
Ma per Caliendo-giurista non è nulla di strano, così come per il Caliendo-sottosegretario di governo, nulla di male nel frequentare membri della cosiddetta P3. “Dobbiamo fare la conta di quanti sono i nostri e quanti i loro” diceva il geometra Lombardi a proposito dei membri della Corte Costituzionale che da lì a pochi giorni avrebbero deciso le sorti del lodo Alfano. Chi stava dall’altra parte del telefono con Lombardi era appunto il sottosegretario Caliendo. Il fatto che – a differenza di Caliendo – siano stati tutti rinviati a giudizio non ha rilevanza penale, figuriamoci politica.
Anzi, è arrivato il momento di occuparsi di quei giornalisti che frequentano troppo biblioteche e archivi parlamentari. Qui interviene Caliendo-legislatore quello che preso dall’istinto di difendere la libertà stampa ha pensato bene di scaricare addosso ai giornalisti tutto il costo delle querele. Del resto, se non fanno paura, ‘ste querele, che le facciamo a fare?