Con l'obiettivo di risparmiare, il presidente Massimo Bulbi ha fatto acquistare all'ente un nuovo spazio inaugurato il 12 aprile 2012, lasciando l'incombenza al futuro amministratore unico della Romagna e prima di una futura carriera da senatore nel Pd come in molti dicono
E adesso cosa ci facciamo con tutta questa roba? È quello che si stanno chiedendo le giunte delle Province di Forlì-Cesena e di Rimini, due degli enti ‘pesanti’ in Romagna che si stanno fondendo tra loro e con la Provincia di Ravenna su impulso della spending review di Mario Monti.
Nelle ore in cui l’assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna ha approvato, tra le polemiche, il progetto di legge di riordino delle Province già licenziata dal Consiglio delle autonomie locali (da nove si passa a quattro più Bologna città metropolitana), anche i romagnoli cercano di capire che ne sarà di loro. La Provincia riminese guidata da Stefano Vitali del Pd, ad esempio, si ritrova diluita nella nuova “Provincia di Romagna” (capoluogo Ravenna) con un bel tesoretto di partecipate da gestire. Tra aeroporto “Federico Fellini”, fiera, palazzo dei congressi e tanto altro ancora, la fetta pubblica delle quote provinciali negli asset del territorio di Rimini vale 48,7 milioni di euro contro i 33,8 di Ravenna e i 28,9 di Forlì-Cesena. Suona dunque come una beffa, è il ritornello che circola in riviera ultimamente, ridursi alla pari di chi in questi anni ha investito molto meno di te.
Il caso della (ex) Provincia di Forlì-Cesena capitanata da Massimo Bulbi, a sua volta ex Margherita e, fra l’altro, da mesi con un piede nella campagna per le politiche nazionali 2013, è però più curioso e rasenta il paradosso. Appena sei mesi fa, quando la sorte di questi enti era già stata segnata, la Provincia forlivese-cesenate ha pensato bene di inaugurare una seconda sede nuova di zecca da affiancare a quella ‘storica’ di piazza Morgagni a Forlì.
Il taglio del nastro è arrivato il 12 aprile del 2012 in viale Bovio 425. A Cesena ovviamente, come da copione per questo ente “orgogliosamente bicefalo” (la definizione preferita dei politici locali). La scelta di comprare i nuovi locali, con una delibera di Consiglio provinciale del 2004 che ne aveva previsto l’acquisto per quattro milioni e 80 mila euro, è stata già difesa da Bulbi dagli attacchi dei Verdi e di altri avversari in ordine sparso. Il presidente ha sostenuto che grazie alla nuova struttura ci sarebbero stati risparmi di costi per oltre 125 mila euro all’anno di affitti.
Gli uffici, che avrebbero dovuto essere lasciati liberi nel 2006, sono stati consegnati in ritardo il 31 dicembre 2011. La Confartigianato, occupando l’immobile oltre il tempo previsto, ha dovuto pagare una penale di 12.000 euro ogni mese extra. Sta di fatto che entrando in una sua sede di proprietà, argomentava il presidente di Forlì-Cesena, la Provincia avrebbe risparmiato 91.300 euro di affitto della ex sede di corso Sozzi 26, 24.000 euro di affitto della ex sede di sobborgo Comandini 87 e 11.000 euro della sede di via Pisacane delle Gev.
Risparmi o sprechi che siano, è un dato di fatto che la collega bolognese di Bulbi, Beatrice Draghetti, nemmeno un anno fa abbia dato un segnale diverso. Dopo mesi di scontri intestini con gli alleati dell’Idv e non solo, Draghetti lo scorso dicembre ha deciso di fare dietrofront sulla nuova sede della Provincia di Bologna di via Bigari, un’opera da circa 30 milioni di euro che avrebbe dovuto essere realizzata in leasing finanziario ma che è stata accantonata, ufficialmente, per l’introduzione dei nuovi criteri di bilancio delle pubbliche amministrazioni, per cui anche il leasing deve pesare formalmente sul debito.
Ma, forse, a Forlì-Cesena sono più lungimiranti di quel che sembra. Come dicono i suoi detrattori più maliziosi, lo stesso Bulbi da un lato non ha voluto rinunciare alla nuova sede cesenate ma, dall’altro, porta avanti dietro le quinte le proprie personali manovre verso Roma. Non da oggi vicino al vice segretario Pd Enrico Letta, il presidente di Forlì-Cesena un paio di settimane fa è tornato a parlare, senza citarla, della propria eventuale corsa al Parlamento (si parla del Senato): “Credo di avere ancora del lavoro da svolgere. Poi, certo, fatto ciò, considererei un onore potere continuare il mio lavoro per questo territorio con altre responsabilità”, ha osservato il presidente con il solito piglio tatticista sbolognando, di fatto, la ‘grana’ di via Bovio al proprio successore tutto da identificare.