La sentenza con la quale il Tribunale dell’Aquila ha condannato a sei anni di reclusione i membri della Commissione grandi rischi presenta vari aspetti, sui quali è possibile svolgere alcune considerazioni in attesa di conoscere le motivazioni della decisione e con riserva di valutare con maggiore attenzione e cognizione di causa le responsabilità, che sono personali, come ogni responsabilità di ordine penale.
Un primo elemento, di carattere negativo, è costituito dalla possibilità che gli scienziati siano chiamati a fare da capri espiatori di una situazione complessa, in cui vi sono altre responsabilità anche più gravi. Di particolare importanza appare, al riguardo, la posizione di Bertolaso, il quale, secondo un’intercettazione telefonica, definì la riunione un’operazione mediatica finalizzata a tranquillizzare la popolazione. Parole gravi, specie perché provenienti dalla persona che dovrebbe impersonare al massimo livello l’impegno dello Stato a prevenire i disastri e le vittime. Un clamoroso fallimento, quello della Protezione civile, incapace, per impostazione e disprezzo della gente prima ancora che per carenza di uomini e mezzi, a impedire che fossero stroncate dal sisma molte vite. Inquietante al riguardo appare anche la dichiarazione di Boschi secondo il quale la riunione incriminata sarebbe stata “pilotata” verso una sostanziale ammissione di impotenza nella previsione dei sismi. Pilotata da chi e con quale finalità ultima?
Ma esistono responsabilità specifiche della Commissione? Qui il discorso diventa complesso. Si obietta che i terremoti non sono prevedibili. Ma il punto non è questo. Come afferma Stefano Rodotà su Repubblica di ieri, la scienza non deve essere un mezzo per sottrarsi alle responsabilità. Sicuramente negativo, a prescindere dalla questione se integri o meno un comportamento penalmente illegittimo, è risultato il ruolo, che di fatto ha svolto, di tranquillizzare indebitamente la popolazione, venendo meno alla funzione di orientamento e prevenzione che la legge le attribuisce. Funzione tuttavia da svolgere in modo coordinato con altre istituzioni locali e nazionali. Va condivisa al riguardo la posizione espressa dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, secondo il quale, se è vero che i terremoti non sono prevedibili, “ l’unica efficace opera di mitigazione del rischio sismico – ricorda l’istituto – è quella legata alla prevenzione, all’informazione e all’educazione della popolazione in cui istituzioni scientifiche, protezione civile e amministrazioni locali devono svolgere, in modo coordinato, ognuna il proprio ruolo”.
Prevenzione, informazione ed educazione. E’ proprio su questo piano, che, minimizzando indebitamente il rischio, la Commissione è venuta meno ai suoi compiti istituzionali. Questo punto è indiscutibile, anche se si può discutere sull’appropriatezza e la proporzionalità della sanzione penale.
Occorre aggiungere che esiste un importante principio normativo che dovrebbe guidare in tutti questi casi l’azione consultiva degli scienziati e dei tecnici, che è quello di prevenzione. Tale principio è stato codificato nei termini seguenti dalla Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992: “Al fine di proteggere l’ ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il metodo precauzionale. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l’abolizione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”. Secondo la Commissione europea “il principio di precauzione può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza”.
Tale principio è ovviamente suscettibile di interpretazioni più o meno stringenti. La lettura che preferisco, perché mi sembra la più adeguata alla situazione presente e alle necessità di prevenire i rischi che scaturiscono sia dalle attività umane che dalle situazioni naturali, è quella secondo la quale basta un indizio di possibile danno per impedire opere progettate o per imporre, come nel caso dell’Aquila, l’adozione di tutte le precauzioni volte a scongiurare la perdita di vite umane. Principio che dovrebbe applicarsi non solo all’eventualità di terremoti, ma ad opere come la TAV o i parcheggi sotterranei, i quali ultimi già hanno mostrato, imponendo in vari casi lo sgombero di interi fabbricati, la loro potenziale nocività.
In molti di questi casi, l’esigenza di non turbare la vita normale attraverso “ingiustificati allarmismi” (si vedano anche i lavoratori periti nelle successive scosse di terremoto in Emilia perché indotti a riprendere la normale attività lavorativa nonostante i pericoli), o di non pregiudicare, dando il giusto rilievo al potenziale rischio, l’effettuazione di lavori decisi molte volte in omaggio solo alle smodate voglie di profitto delle varie cricche, cosche e caste, può determinare danni inutili e vittime innocenti, che invece vanno, gli uni e le altre, assolutamente evitati, attingendo a tutte le risorse a disposizione del sistema giuridico, ma dirigendo la necessaria opera di repressione penale verso i bersagli giusti.