È il 26 luglio 2012. I carabinieri del Nucleo operativo ecologico hanno da poco notificato il decreto di sequestro preventivo senza facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto firmato dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco. La notizia fa in fretta il giro d’Italia e arriva anche alle orecchie delle “parti offese”. Quelle, cioè, ritenute dalla magistratura vittime del disastro ambientale commesso dai vertici aziendali dell’industria tarantina.
Tra questi c’è anche il ministero dell’ambiente guidato da Corrado Clini. La sua prima dichiarazione, però, è quantomeno insolita per una vittima: “Chiederò che il provvedimento di Riesame avvenga con la massima urgenza. La magistratura sta procedendo al sequestro degli impianti e ad altre misure cautelari e l’intenzione del Governo è di sostenere la continuazione delle attività produttive nel sito industriale”. Insomma ricorrere al Riesame per chiedere il dissequestro dei sei reparti e scongiurare il rischio di chiusura dello stabilimento e le conseguenze occupazionali. Parole che sarebbero state normali se dette dai vertici aziendali o dagli operai che difendono il loro posto di lavoro. E invece no, a dirle è stato proprio il ministro dell’Ambiente in un procedimento contro l’azienda accusata di aver devastato l’ambiente tarantino e di aver avvelenato le sostanze alimentari.
La vicenda Ilva diventa un caso nazionale. Il ministro Clini è costretto a scendere a Taranto insieme al ministro dello sviluppo economico Corrado Passera. Le dichiarazioni sulla situazione a Taranto sono innumerevoli. Come quella sul quartiere Tamburi, il più colpito dai veleni dell’industria, che secondo Clini è stato costruito dopo la nascita nel 1965 del VI Centro siderurgico italiano. A smentirlo è, addirittura, Maria Ausiliatrice. La statua della Vergine, esposta nella principale via del quartiere Tamburi, è infatti datata 1953. Oltre un decennio prima della nascita dell’Italsider. Il quartiere più inquinato d’Italia, insomma, non è nato dopo la fabbrica.
Lì, come scrivono le maxiperizie epidemiologiche e ambientali, le emissioni della fabbrica generano malattia e morte. Già, le perizie. Anche su queste relazioni Clini dice la sua. Parla di perizie di parte, dimenticando che invece quei documenti sono stati redatti non su mandato della procura, ma su disposizione del gip del Tribunale di Taranto e quindi, sono perizie cosiddette super partes. Quelle relazioni hanno messo nero su bianco la realtà del territorio tarantino. Contengono i dati dello studio sentieri fino al 2008 e descrivono una realtà che mette i brividi.
Su questi dati intervengono Alessandro Marescotti di Peacelink, uno dei leader degli ambientalisti tarantini, e Angelo Bonelli, presidente dei Verdi e consigliere comunale di Taranto. Raccontano che per alcune patologie tumorali in provincia di Taranto nel 2003/2008 c’è stato un aumento del 24%. Ma non solo. I linfomi sono cresciuti del 38% e i mesoteliomi addirittura del 306%. Clini, anche questa volta, interviene. Afferma che “si stanno manipolando con grande spregiudicatezza dati incompleti e si sta creando una pressione sulla popolazione e sulle autorità. Abbiamo bisogno di responsabilità” e dà mandato all’avvocatura dello Stato di querelare Bonelli. Ma i dati non sono incompleti, attendono solo la validazione scientifica che qualche settimana dopo. A presentarli a Taranto è proprio il ministro della salute Renato Balduzzi che conferma i dati degli ambientalisti e smentisce Clini.
L’ultima smentita in ordine di tempo è giunta dal documento conclusivo della commissione parlamentare sull’Ilva di Taranto. Nella relazione si legge che per il ministro (ed ex direttore generale per vent’anni fino alla nomina di Monti) la riapertura dell’Aia era necessaria per le nuove migliori tecnologie disponibili approvate dall’Europa a marzo scorso e per la “novità” dell’emergenza benzo(a)pirene al quartiere Tamburi. Emergenza, spiega invece la commissione, nota già dal 2010. “Quindi, che il ministero indichi questo dato come l’elemento di ‘novità’ che ha determinato la riapertura della procedura Aia è circostanza smentita da quanto è agli atti della Commissione”.