Ma mentre a Roma disegnano la nuova cartina della Lombardia, a Como cresce la protesta. “Mai con Monza! Mai brianzoli! Como unico capoluogo del Lario”: è una pagina facebook che si propone di dare voce alla ribellione anti-fusione.
A Como sono chic. Hanno più storia, più tradizione, più gusto. Ricchezza più antica, grandi hotel da Belle époque, eleganti ville sul lago e, in più, vip alla George Clooney. Hanno già ingoiato a fatica l’università dell’Insubria, divisa a metà con Varese, dove c’è però il rettorato. Sono fieri del “missultin” (l’agone di lago essiccato) che non teme certo la concorrenza dei “pessit” (le alborelle fritte del Varesotto). Hanno anche il loro Bob Dylan, il cantautore Davide Van de Sfroos, che canta in laghee (la parlata del Lario). Figurarsi se adesso vogliono unirsi con Varese. E per di più con capoluogo Monza. “Cosa abbiamo a che fare noi con l’autodromo?”. L’ostilità lariana è ricambiata: a Varese c’è un assessore provinciale che distribuisce magliette con su scritto: “Varese mai con Como”. Del resto, ci sono buone strade e autostrade per andare da Como a Milano e da Varese a Milano, ma provate ad andare da Como a Varese: una piccola avventura. Anche a Lecco protestano per la fusione con Sondrio e preferirebbero, se proprio si deve, unirsi a Como.
Ma Como e Monza già lavorano insieme: nella gestione di acqua e gas. “Nel 2008 abbiamo fuso le due municipalizzate, Acsm e Agam”, spiega il presidente Umberto D’Alessandro, “e le cose hanno funzionato bene. Se l’obiettivo è risparmiare, si può fare. Certo però, io come comasco d’adozione poi preferirei che il capoluogo fosse Como”.
I comaschi anti-fusione hanno elaborato una loro proposta alternativa, che fa bella mostra di sé sulla pagina facebook “Mai con Monza! Mai Brianzoli!”. La formazione di un’Area Alpina (Varese, Como, Lecco, Sondrio), con Como capoluogo. Monza con Milano. Pavia con Lodi. Cremona con Mantova. Bergamo e Brescia come oggi.
È l’Italia dei mille campanili, d’accordo. Ma è anche l’esito di una riforma a metà. Da anni la politica, di destra e di sinistra, ci promette l’abolizione delle province. Promessa mai mantenuta, perché questo livello amministrativo serve per moltiplicare le poltrone, i soldi, i posti per mantenere i partiti. Il governo Monti avrebbe potuto finalmente realizzare una vera semplificazione amministrativa. Ha scelto invece una via intermedia: non abolirle, ma ridurle. Così non risolve il vecchio problema e ne apre uno nuovo: le piccole guerre di campanile.
Il Fatto Quotidiano, 25 Ottobre 2012