La scena finale del film “Il Caimano” di Moretti presagiva che Berlusconi pur di rimanere abbarbicato al potere, tenere sotto scacco la magistratura e assicurarsi l’impunità avrebbe scatenato un putiferio di scontri violenti. Per fortuna il Grande Caimano per il momento è stato costretto a ritirarsi nell’ambiente palustre melmoso da cui era emerso senza colpo ferire. In compenso un putiferio lo stanno scatenando i piccoli caimani che si pasturano dei brandelli di potere marcio nel Pd meno elle.
Atterriti dalle quelle concerie politiche chiamate primarie (dove rischiano di essere trasformati in cinte, borse e portafogli) si dibattono con micidiali colpi di coda chiamando a raccolta le forze rimaste ancora fedeli: nei sindacati, nella Rai, negli anfratti oscuri delle caste locali, nei sottoscala delle redazioni, nei cunicoli delle municipalizzate, nelle conventicole delle cooperative e tra i marmi delle fondazioni bancarie in bancarotta. In particolare chiamano a raccolta i loro Sallusti e i loro Littorio Feltri per confezionare i dossier sui nemici politici. Così è nato lo strano caso del paradiso fiscale nell’ isola Grand Cayman. Ma come nel caso Boffo, anche gli spin doctors di Bersani e D’Alema, capitanati da Fassina, hanno preso un granchio dalle inusuali forme di boomerang.
Da oltre tre anni le Isole Cayman non sono incluse nella lista dei cosiddetti paradisi fiscali stilata dall’Ocse. Non ci credete? Allora ecco un articolo che risale al 14 agosto del 2009 (l’Ocse comunicò la decisione il 13 agosto 2009). Non vi basta? Ecco l’agenzia Reuters, in inglese. Ancora scettici? Andate al sito dell’OCSE con la lista completa dei paesi che implementano gli standards internazionali in materia di tassazione aggiornata al 2012. Le Cayman secondo l’Ocse (l’organismo internazionale che guida la crociata del G20 sui paradisi fiscali) sono nella stessa situazione dell’Italia. Se ancora non siete convinti andate su Google e cercate “Cayman Ocse lista bianca” e troverete 35,000 risultati da cui potrete sincerarvi. Se poi conoscete l’inglese cercate “Cayman Islands Oecd whitelist” e troverete altri 8600 link in materia. Per farla breve, le Cayman inviano i dati di rilevanza fiscale sulle società ivi domiciliate e i loro soci, ai paesi interessati.
A beneficio degli etichettatori in servizio permanente effettivo mi preme precisare che 1) l’esistenza di Davide Serra (e dei suoi fondi Algebris attenzionati dai piccoli caimani) mi era del tutto ignota fino a qualche giorno fa; 2) non ho affinità politiche con Matteo Renzi, che al pari di Serra, non ho mai incontrato e tanto meno appoggiato (ci siamo incrociati una sola volta a Piazza Pulita dove io ero ospite in studio e Renzi era collegato in teleconferenza da Firenze).
A che pro i piccoli caimani montano il caso dei paradisi fiscali immaginari con la grancassa dei giornali (in primis l’Unità) pagati dai contribuenti? Solo uno irrimediabilmente malizioso potrebbe ipotizzare che si tratti di una strategia mediatica per sbianchettare dal ricordo degli elettori i paradisi criminali reali. Ad esempio il paradiso criminale scoperto a Sesto S. Giovanni , ridente (si fa per dire) località dove era sindaco il capo della Segreteria Politica di Bersani, un certo Penati, rinviato a giudizio, ma incollato alla poltrona in Consiglio Regionale, che stranamente sembra sparito dalla circolazione. E nemmeno il paradiso criminale della sanità pugliese dove si intrecciano amici comuni di Vendola (altro candidato alle primarie) e di D’Alema, ad esempio l’ex assessore Tedesco, ora senatore, sfuggito all’arresto grazie al voto del Parlamento.
E non si dica che possa trattarsi del paradiso criminale par excellence, la Sicilia, dove un tal Lombardo governava con l’appoggio del vertice nazionale del Pd meno elle. Ma non si tratta neanche dei rapporti tra criminalità e politica, altrimenti dovremmo ripercorrere vicende quantomeno incresciose come la gestione di rifiuti in Campania all’insegna del duo Bassolino-Cosentino.
Se non si tratta dei paradisi criminali vuoi vedere che bisogna annusare nei mercati finanziari? Il D’Alema che si indigna per i paradisi fiscali immaginari non sarà mica lo stesso D’Alema che da Presidente del Consiglio trafficava nell’empireo di Palazzo Chigi sulla Telecom, società su cui misero le mani gli amici aiutati da Lehman Brothers (si, proprio la banca che nel settembre del 2008 saltò con un botto planetario)? Quella Telecom che venne poi spolpata a dovere, e da cui i capitani coraggiosi di D’Alema furono liquidati a colpi di miliardi, mentre l’Italia è rimasta condannata al medioevo digitale? Oppure dobbiamo ripercorrere le vicende del paradisiaco scandalo Unipol-Fiorani-Fazio quando Fassino esclamava un po’ prematuramente ed incautamente “Abbiamo una banca!”?
In effetti al Pd serviva una banca tutta nuova per un motivo pressante: quella su cui già avevano messo le mani da decenni, il venerabile e venerato Monte Dei Paschi di Siena, stava per andare a ramengo sotto la gestione diretta delle cricche con la targa del Pci e la targa del Pd sempre sulle stesse terga. Il Monte dal 1472 aveva resistito a lotte tra fratricide tra contrade, rivolte, varie invasioni straniere, cambi di regime, tre guerre di indipendenza, il fascismo, due guerre mondiali, ma non agli appetiti insaziabili delle bande politiche rosse.
Ora i piccoli caimani, coadiuvati da Fassina, sapete a chi attribuiscono le colpe? Ma è ovvio! Al fantomatico pensiero unico neoliberista, riuscendo persino a trattenere le risate di fronte alle telecamere. E per mostrare ai loro elettori quanto siano duri e puri scagliano anatemi e affettano indignazione nientepopodimeno che sulle banche! Ma lo sapete, miei cari lettori a cui prudono i polpastrelli per scrivere un commento infuocato, chi è il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana? Un certo Mussari. E come si guadagnava da vivere fino a non molto tempo fa? Era il Presidente del Monte dei Paschi di Siena con piena fiducia del vertice Pd. Poi sotto il peso dei debiti ha dovuto gettare spugna e accappatoio per lasciare alle prese con la voragine nei conti, un certo Profumo (sotto indagine per frode fiscale) che quando era il capo di Unicredit (con una sede alle Cayman) sgomitava per farsi vedere in prima fila mentre votava alle primarie.