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Usa 2012, Romney e il conflitto di interesse sulle “voting machine”

Hart InterCivic è una delle compagnie che conterà i voti per le presidenziali ed è già finita sotto inchiesta per le sue macchinette "fallate e facili da manomettere". Due consiglieri della società hanno finanziato i repubblicani. E uno di loro è manager del fondo di investimento controllato dal candidato conservatore

Un conflitto di interessi così evidente da gettare una luce sinistra sulle elezioni del 6 novembre. E’ quello che lega Mitt Romney a Hart InterCivic, una delle compagnie che raccoglieranno e conteranno i voti degli americani in vari Stati tra cui l’Ohio, decisivo per le presidenziali 2012. Se etica e pratica vorrebbero assoluta indipendenza tra i candidati e chi deve vegliare sul voto, tra Hart e il governatore del Massachusetts esiste una fitta rete di rapporti economici che permettono a Romney di controllare la compagnia e che negli Usa sta alimentando ogni sorta di dubbi e veleni sulla regolarità delle elezioni. Esattamente lo stesso tipo di rapporti che legavano la famigerata Diebold Election Systems a George W. Bush. E che produssero il caos che nel 2004 portò il petroliere texano alla Casa Bianca. Non solo: negli ultimi anni Hart è finita più volte sotto inchiesta per le sue macchinette contavoti “fallate e facili da manomettere”.

Il 6 novembre le sue voting machine cominceranno a macinare voti in California, Colorado, Hawaii, Illinois, Indiana, Kentucky, Ohio, Oklahoma, Oregon, Pennsylvania, Texas, Virginia e Washington. Dallo spoglio verrà fuori il nome del 45° presidente degli Stati Uniti. Il problema è che i rapporti diretti tra Hart e il candidato del Grand Old Party non cominciano e non finiscono con il voto, ma hanno a che fare con soldi. In primo luogo quelli che 2 dei 5 membri del board of directors della compagnia, Jeff Bohl e Neil Touch, hanno versato nelle casse della campagna repubblicana. Bohl ha finanziato Romney for President per un totale di 4mila dollari, scrive Forbes. Poco inferiore la donazione di Touch. In un maldestro tentativo di fugare i dubbi sull’indipendenza della compagnia, poi, Bohl ha finanziato anche Obama: 250 dollari, risulta dai registri delle donazioni, versati non come top manager di Hart, ma come “barista free lance”.

Ma Jeff Bohl è anche il simbolo del grande conflitto d’interesse che lega Romney a Hart InterCivic. Bohl figura tra i principali manager di H.I.G. Capital, fondo di investimento controllato da Mitt Romney e dalla sua famiglia. Il problema nasce il 6 luglio 2011, quando H.I.G acquista Hart Intercivic. Scrive The Daily Dolt che H.I.G. è l’11esimo maggior donatore della campagna di Romney: i suoi dirigenti hanno donato 338 mila dollari, molto più degli 268 mila dollari versati dalla stessa Bain Capital, creatura finanziaria del governatore; dei 22 manager del suo board, 21 hanno finanziato Romney; 7 di loro, tra cui il fondatore Tony Tamer, sono ex dipendenti di Bain. E rapporti sono così stretti che due di loro, Douglas F. Berman e Brian D. Schwartz, erano seduti al tavolo con lui durante la cena da 50 mila dollari in cui Romney disse di fregarsene del 47% degli americani “sanguisughe”.

Torna lo spettro dei brogli del passato. Nel 2004, quando Bush conquistò il suo secondo mandato (già la vittoria su Al Gore nel 2000 fu tra le più sospette nell’intera storia degli Usa), le voting machine appartenevano, tra le altre società, a Diebold Election Systems, che fin dal 1998 finanziava i repubblicani e che solo per le presidenziali di quell’anno versò loro 300 mila dollari. Walden O’Dell, ceo della compagnia, era così amico di Bush che in una raccolta di fondi via email del 2003 promise di portare i voti dell’Ohio a Bush nel 2004. Così accadde: il petroliere vinse in Ohio, il “Buckeye State“, mentre migliaia di macchinette in tutti gli Stati andarono in tilt, migliaia di voti democratici si persero nel nulla.

Solo in Florida, scrivono nella loro relazione gli esperti statistici della California University che esaminarono il conteggio ufficiale, le macchinette “possono aver assegnato impropriamente qualcosa come 260mila voti a Bush”. Negli anni le voting machine sono finite più volte sotto inchiesta. Il 15 dicembre 2007, scrive il New York Times, Jennifer Brunner, segretario di Stato dell’Ohio, presentò un’indagine sulla sicurezza degli apparecchi. Tutti e 5 i sistemi di voto elettronico utilizzati nello Stato erano “facilmente manipolabili”: i tecnici della Cleveland State University, dell’Università della California e l’Università della Pennsylvania erano riusciti a ricavare le chiavi per accedere alle schede di memoria e utilizzare semplici palmari per introdurre voti falsi nelle macchine. Oltre che a introdurre un virus nei server. “Tutti i sistemi studiati presentano falle di sicurezza critiche tali – si legge nella relazione finale – da rendere le procedure di controllo insufficienti a garantire un’elezione regolare”. I sistemi erano prodotti da due sole aziende: Diebold e Hart Intercivic.