La storia va avanti da almeno sei anni. Da una parte ci sono i sindaci di Genova, Roma e Milano che chiedono il pagamento della Cosap, la tassa sull’occupazione del suolo pubblico. Dall’altra c’è l’azienda. Dietro il mancato pagamento una partita di giro di soldi pubblici
La Rai evade il canone e conquista un posto in prima fila, in Tribunale. Dove rischia di perdere 5 milioni di euro. La storia va avanti da almeno sei anni, a suon di carte bollate, ma nessuno la racconta. Da una parte ci sono i sindaci di tre grandi città che chiedono il pagamento della Cosap, la tassa sull’occupazione del suolo pubblico. “Dall’altra c’è l’azienda che – l’accusa a viale Mazzini – dal 2006 infila i bollettini in un cassetto”, come fa l’abbonato distratto che, puntualmente, viene redarguito a reti unificate.
Sul tributo non pagato in viale Mazzini aleggia oggi un comprensibile imbarazzo. Per anni gli avvisi di pagamento da Roma, Milano e Genova sarebbero – secondo i ricorrenti – rimasti nel cassetto. Così, anno dopo anno il cassetto si è riempito e oggi l’ammontare delle richieste è arrivato a 5 milioni di euro, oltre interessi. Roba difficile a far digerire ai piani alti dove, con piglio commissariale, si cercano le pezze a un bilancio che a fine anno avrà un rosso di 200 milioni.
Per il cittadino, a dire il vero, poco cambia. Con i soldi suoi, da contribuente o abbonato, si gioca una partita di giro tra soggetti pubblici. Quello che resta da vedere è alla fine chi la spunterà. Se quei soldi rimarranno nel bilancio di viale Mazzini o arriveranno alle casse dei comuni. Insomma, chi ne uscirà a testa alta e col bottino in tasca. Gli occhi sono puntati su Genova perché è dal capoluogo ligure, a gennaio, che arriverà la prima definizione del contenzioso a fare chiarezza su tutti. E le conseguenze, al momento, sono davvero imprevedibili. I funzionari dell’azienda, che pur rivendicano di essere nel giusto, sanno che la partita è tutt’altro che scontata. Anche perché il contenzioso-Cosap, pur avendo un carattere squisitamente tributario, è incardinato in tre tribunali civili, con tempi e orientamenti del tutto imprevisti. Sarà come tirare una monetina. Da cinque milioni di euro.
Il contenzioso da 5 milioni. I primi bollettini risalgono al 2006. Si riferiscono a un tributo che la Rai ha sempre pagato per le reti di cavi che corrono sotto le città e che – grazie anche a strutture in superficie – consentono all’azienda di raggiunge le singole tv dei cittadini garantendo il servizio pubblico. Fino a quell’anno. Da lì in poi le richieste delle amministrazioni sono state accantonate. La Rai ha chiuso i cordoni della borsa. In prima istanza la versione dell’azienda era che il tributo dovesse essere versato da Rai Way spa. Che altri non è però che una società nata nel 2000 di cui Rai risulta attualmente il socio unico e che formalmente è proprietaria di quei cavi e strutture con cui l’azienda madre fornisce il servizio. Almeno fino al 2001 i versamenti della Cosap arrivavano regolarmente dalla “concessionaria” Rai; dal 2002 al 2006, invece, da Rai Way. Poi più nulla. Nessuna delle due società a più pagato. Un cortocircuito in Rai? Fatto sta che le verifiche del settore Finanze e oneri tributari della Capitale hanno accertato mancati pagamenti per 2,1 milioni di euro. A Milano il contenzioso ha raggiunto quota 1,7 milioni, a Genova un milione tondo. Un piccolo tesoro che, in tempi di spending rewiev, fa comodo a tutti, sindaci e azienda. E infatti nessuno sembra disposto a rinunciarvi.
Un canone, due versioni. Le avvocature comunali si rifanno alla legge del 1997 che stabiliva per i comuni sopra i 20mila abitanti una tariffa fissa (al tempo erano mille lire, da rivalutare su base Istat) da moltiplicare per ogni utente raggiunto dal servizio. I conti sono presto fatti: i canoni annuali a Roma portavano 500mila euro l’anno, a Milano 340mila euro. Ma quella legge, rivendica l’azienda, è stata oggetto di interpretazioni diverse e successive circolari (l’ultima dell’Agenzia delle Entrate nel 2009) che precisano come e quando applicare alle società incaricate di pubblico servizio la tariffa per utenti o un canone forfettario. “La Rai – spiega l’azienda – trasmette via etere e le strutture fisse che occupano il suolo pubblico (cavi coassiali e fibra ottica) servono un solo utente che è la Rai stessa”. Inoltre l’utilizzo di quei mezzi è destinato a fini interni di collegamento tra punti di produzione del segnale televisivo (come ad esempio la Fiera di Milano o la Camera dei Deputati), centri di produzione televisiva Rai e alcuni centri trasmittenti. Non a caso altri comuni, come Torino, hanno accettato questa interpretazione e ricevono 500 euro l’anno. Insomma la Rai non è Telecom o Metroweb. Ma anche la convinzione di essere nel giusto non dirada dubbi e rischi. Qui si perde o si vince. Magari si stravince. Se il giudice desse ragione alla Rai, infatti, si potrebbero aprire scenari impensati. L’azienda potrebbe anche chiedere di recuperare le somme indebitamente versate per anni mettendo in ginocchio i comuni. Viceversa, una decisione sfavorevole all’azienda potrebbe rimpolpare le casse comunali e spalancare la porta a nuovi contenziosi in altre città. Potrebbe addirittura coinvolgere operatori finora alla finestra. “Ma Mediaset pagherà?”, si chiedono già in viale Mazzini.