Dal suo ufficio di Bologna, Alessandro Martelli, nel maggio scorso aveva annunciato un imminente sisma che avrebbe toccato l'Italia meridionale. Ma non è sua intenzione fare polemica: "Le previsioni, frutto dell'esperienza scientifica dei sismologi, non sono infallibili, ma guardando al passato si sono rivelate corrette nel 70% dei casi"
A fine maggio era stato tacciato di allarmismo, ma oggi Alessandro Martelli, l’ingegnere che dirige il Centro Enea di Bologna, non si prende alcuna rivincita morale nonostante le reazioni che erano seguite all’annuncio di un imminente sisma che avrebbe colpito l’Italia meridionale. A poche ore dal terremoto di magnitudo 5 registrato nella zona del massiccio del Pollino, al confine tra Basilicata e Calabria, ci va cauto per una serie di motivi. Innanzitutto perché è troppo presto per stabilire se il recentissimo evento è quello previsto mesi fa. E poi perché vuole evitare scontri tra enti pubblici, “che non portano alcun beneficio ai cittadini”, ma distraggono dal “vero obiettivo: far comprendere che il rischio sismico è una realtà e che lo si può scongiurare solo incentivando la ricerca di prevenzione”.
“La situazione prima di questo evento era la seguente”, spiega Alessandro Martelli. “Per il nord l’allarme di un terremoto superiore a magnitudo 5.4 scattato il 1 marzo è stato ritirato all’inizio di settembre. Questo non significa che non ci saranno più eventi sismici, ma se ci saranno avranno manifestazioni meno intense rispetto a quelle del 20 e del 29 maggio. Invece per il sud, in un’area che va da metà Campania alla Sicilia, l’allarme risalente al 1 gennaio 2012 è stato confermato e la soglia prevista era di 5.6”.
Simile a quello appena registrato.
“Ma non si può dire che sia lo stesso. Intanto occorre capire se la magnitudo di questa notte è di 5 o di 5.3 perché cambia molto, dato che l’intensità si misura su una scala logaritmica. Poi si deve attende che i sismologi finiscano di valutare i dati. Tra qualche giorno, infatti, si potrà dire se dire se il terremoto del Pollino è un fatto ‘positivo’ essendo stato di magnitudo inferiore rispetto all’intensità di 5.6 prevista. Questi studi, lavorando su stime, possono fallire e dunque prevedere eventi che poi non si verificano o si verificano con un impatto inferiore. Per contro, però, potrebbe profilarsi una situazione negativa: siccome è da tempo che in quell’area si registrano scosse e siamo in crescendo, allora potrebbe darsi che non si sia ancora manifestato l’evento che si teme. Ma, ripeto, sono necessari alcuni giorni per capire a quale delle due eventualità ci dobbiamo riferire”.
In termini quanto più semplici possibile, come si formulano certe previsioni?
“Provo a spiegarlo. Si pensi a un controllo costante della temperatura corporea che definisce le fluttuazioni normali di un organismo. Nel corso del monitoraggio, si può rilevare a un certo punto un picco. L’origine dell’anomalia può essere dovuta a una banalità, come un raffreddore, oppure a qualcosa di più serio, come un principio di polmonite. Ecco, passando alla sismologia, vengono analizzati terremoti di entità inferiore a quello che gli scienziati temono per una certa zona, che per forza non può essere piccola. Le zone sismogenetiche sono difficili da frazionare. Si pensi al terremoto in Emilia Romagna: ci si riferisce a un sistema che va dal Garda a Parma fino a Ravenna. Analizzando molte scosse intorno ai 4.3, a un certo punto si può registrare un fenomeno strano e, in base agli algoritmi che analizzano la fisica del fenomeno, viene evidenziata una probabilità di inizio di polmonite. Allora si lancia l’allarme”.
Questi allarmi che percentuale di probabilità hanno di verificarsi?
“Le previsioni, frutto dell’esperienza scientifica dei sismologi, non sono infallibili, ma guardando al passato si sono rivelate corrette nel 70% dei casi. A ogni modo, anche quando prevedono qualcosa che poi non ha luogo, non sono tempo perso. C’è chi sostiene che spaventiamo i cittadini inutilmente, ma è falso. Parliamo di eventi che nella storia si sono già verificati e che quindi con tutta probabilità torneranno a verificarsi prima o poi. Il valore di questi studi è quello di avvertire che il ‘prima o poi’ non è tra mille anni, ma più verosimilmente tra qualche mese o tra qualche anno. Insomma, il problema è nostro o delle generazioni immediatamente future”.
Perché allora tornano le polemiche quando vengono diramati gli allarmi?
“Né oggi né in passato ci sono voluto entrare perché non è nell’interesse di nessuno avere scontri tra istituzioni che dovrebbero collaborare a risolvere i problemi. Le polemiche sono fuorvianti, sbagliate e dannosissime dato che spostano l’attenzione dal vero nodo della questione. Io continuo a parlare non perché mi diverto a fare paura alla gente, ma perché in Italia manca la percezione del rischio sismico, compreso davvero solo nel momento della crisi, quando le persone toccano con mano le conseguenze. Quanti di noi sanno veramente se la propria casa o la scuola dei figli è sicura in caso di terremoto? Questa paura deve diventare una ricerca di prevenzione e una volontà, anche nel piccolo, di darsi da fare perché si passi ai fatti, senza attendere i cataclismi”.