29 ottobre 2012: prende il via il processo ai presunti responsabili della non-presunta trattativa tra Stato e mafia. Con soli due giorni di anticipo, Palazzo Chigi ha annunciato “la costituzione di parte civile del governo all’udienza preliminare del procedimento penale dinanzi al tribunale di Palermo a carico di Leoluca Biagio Bagarella e degli altri 11 imputati per i capi di imputazione di interesse dello Stato”. Meglio tardi che mai. Chissà se ora altre istituzioni, comprese quelle emiliano-romagnole, seguiranno l’esempio. Al momento lo hanno fatto solo i Comuni di Palermo e Firenze. Nel frattempo, rispondendo all’appello di Salvatore Borsellino e delle Agende Rosse, anch’essi parte civile, molti cittadini si sono dati appuntamento lunedì mattina: parteciperanno a sit-in a Palermo e in altre città d’Italia (a Bologna alle 9 in Piazza dei Tribunali; con l’adesione, tra gli altri, di Paolo Bolognesi e dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980), per esprimere vicinanza e solidarietà ai magistrati impegnati in questo importante, delicatissimo processo.

Solidarietà che – con buona pace di chi ha lanciato scomuniche ai “populisti giuridici” – non significa fare il tifo per le tesi dell’accusa, bensì rendere manifesta la volontà di milioni di italiani: pretendere verità e giustizia sulle stragi e le trattative – non “presunte”, come troppi si ostinano a definire, ma accertate in sede giudiziaria da oltre dieci anni! – che hanno influenzato, illegalmente, la recente storia d’Italia. Un condizionamento che viene da lontano. Al di là degli esiti processuali passati e presenti, il lavoro di magistrati, studiosi (come Giuseppe De Lutiis), giornalisti (come Gianni Flamini e Maurizio Torrealta, autore nel lontano 2002 del saggio “La trattativa”, recentemente ampliato e ristampato) e molti altri, ci consentono di affermare, documenti alla mano, che dalla strage di Portella della Ginestra (1947) ad oggi il terrorismo è stato uno degli strumenti politici più efficaci, in Italia, per impedire l’effettiva realizzazione del dettato costituzionale. E ci consente anche di fare nomi e cognomi di alcuni personaggi, i cosiddetti faccendieri, che hanno avuto il ruolo di uomini-cerniera tra ambienti diversi: servizi segreti, funzionari e membri delle forze dell’ordine infedeli allo Stato, criminalità organizzate, consorzi occulti (in primis di stampo massonico), ambienti Nato (vedi Gladio), ambienti neofascisti e nazistoidi. Svolgendo un ruolo simile a quello degli untori manzoniani, queste persone hanno dato un contributo fondamentale alla diffusione della piaga della corruzione, della criminalità e del terrorismo. Regalandoci il degrado etico, civile, politico e istituzionale che oggi ci circonda.

L’innesto dell’ordigno che provocò la strage di Capaci, per esempio, fu confezionato da un certo Pietro Rampulla, neofascista arrestato a Firenze per l’inchiesta sull’autoparco di Milano, definito nelle carte giudiziarie come soggetto«collegato con politici, massoni ed esponenti del settore bancario e coinvolto in inchieste sul traffico internazionale d’armi». Pietro Rampulla è fratello del boss Sebastiano Rampulla, referente di Cosa Nostra nel messinese.

Un altro inquietante faccendiere è delle nostre parti e si chiama Paolo Bellini. Originario di Reggio Emilia, passato dal Msi ad Avanguardia Nazionale (il gruppo neofascista di Stefano Dalle Chiaie), ha girato il mondo: tornato dal Sudamerica si faceva chiamare Roberto Da Silva. Il 2 agosto 1980, mentre i bolognesi raccoglievano cadaveri e macerie, il procuratore capo di Bologna Ugo Sisti si trovava in un hotel vicino a Reggio Emilia, ospite del fascistissimo padre del Bellini. Il giovane “figlio d’arte” fu arrestato più volte, occupandosi di strani traffici di mobili antichi ed opere d’arte, gli piaceva giocare all’infiltrato nella mafia spacciandosi (ed offrendosi) come recuperatore di crediti. In uno dei suoi soggiorni nelle patrie galere conobbe il boss Antonino Gioè, poi suicidatosi. Insomma, un personaggio da film. Del misconosciuto Bellini hanno parlato il diavolo e l’acqua santa: da Totò Riina al recentemente scomparso Pier Luigi Vigna, ex procuratore nazionale antimafia. Il primo, durante un’udienza, dichiarò: «Ma questo Paolo Bellini che ci andò a fare a discutere con Gioè ad Altofonte e ci ha messo in testa di potere fare queste stragi verso Firenze, Pisa, verso l’Italia? Io questo Bellini me lo trovo in mezzo ai piedi con i servizi segreti». Il profilo disegnato da Pier Luigi Vigna delinea in maniera ancor più precisa la natura del soggetto in questione: «E’ un uomo che ha saputo inserirsi in un ventennio di vicende criminali italiane perché ha le caratteristiche ideali del mercenario della malavita: sangue freddo nell’uccidere, fantasia, sa pilotare gli aerei, conosce le lingue. Come collaboratore ha reso un buon servizio allo Stato». Chissà a quale genere di servizio si riferiva il procuratore Vigna.

L’estate appena trascorsa ha visto gli italiani dividersi sul conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo per la questione delle intercettazioni indirette di alcune telefonate tra l’imputato (per falsa testimonianza) Nicola Mancino e il Presidente della Repubblica. Polemiche che hanno in parte distratto l’opinione pubblica dal merito dell’inchiesta del pool di Palermo guidato da Antonio Ingroia: individuare e punire i responsabili di una trattativa tra Stato e mafia la cui esistenza è certificata da sentenze (Caltanissetta e Firenze), non da opinioni.

E’ di pochi giorni fa la notizia delle minacce all’ultimo arrivato nel pool di Palermo, il giovane pm Roberto Tartaglia. Un ulteriore buon motivo per manifestare a sostegno dei magistrati. Il che non significa affatto, come qualcuno vorrebbe far credere, considerare le accuse della procura come una verità indiscutibile. Si tratta invece di rendere percepibile la vicinanza – “La gente fa il tifo per noi”, diceva Giovanni Falcone al suo amico Paolo Borsellino – di tantissimi cittadini che pretendono di conoscere l’identità di tutti i responsabili delle stragi di Capaci, via D’Amelio, via dei Georgofili e via Palestro, in cui morirono complessivamente 21 persone, tra le quali due sorelle di 50 giorni e di 9 anni: Caterina e Nadia Nencioni.

Un’esigenza di verità e giustizia che vale anche per i mandanti di tutte le altre stragi d’Italia, parzialmente o totalmente impunite.

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